LA FENICE

di Michela


Parte 1


Quello era di certo il posto più lussuoso in cui avessi messo piede, il ristorante più elegante di tutta la città… entrando nella piccola sala privata, illuminata dalle candele, non avevo potuto evitare di girarmi intorno con gli occhi spalancati, tovaglie di puro lino, tende suntuose, decorazioni al soffitto… mia madre si era accomodata con grazia, fingendo che quella fosse un’abitudine… mio padre invece, all’altro lato del tavolo, era visibilmente agitato, ancora troppo spaventato dal luccichio delle posate d’argento per riuscire a sfogliare il menu…
“Il Signor Gordon è stato davvero gentile a regalarci questa cena.”
Mio padre era scattato sulla sedia, asciugandosi la fronte col polsino della camicia…
“Non lo so tesoro, continuo a pensare che ci sia stato un errore… il mio capo non ha mai regalato premi agli impiegati.”
“Andiamo Remì, dopo vent’anni di servizio alla sua azienda credo che sia un premio del tutto meritato.”
Mio padre continuava a guardarsi intorno, ancora spaventato dall’idea di ordinare la cena…  chiedere solo un’insalata sarebbe stato un peccato, ma d’altro canto scegliere ostriche e caviale poteva rivelarsi una mossa azzardata… forse quello era una specie di test, forse il Signor Gordon ci stava osservando da lontano aspettando che lui commettesse un errore… del resto il suo capo era conosciuto più per il brusco temperamento che per le sue gentilezze… non lo aveva mai incontrato di persona in tutti quegli anni, mai avuto alcun segno o messaggio dai piani alti, eppure, due mattine prima, uno dei consiglieri era entrato nel suo piccolo anonimo ufficio e sorridendo gli aveva comunicato della prenotazione alla Salle de Paris… un premio meritato per un impiegato così efficiente e leale…
“Cosa ordiniamo?” Mia madre era senza dubbio la più entusiasta di noi tre.
Papà aveva sfogliato il menu con attenzione, scorrendo i prezzi prima ancora di leggere a quale piatto corrispondessero… alla fine avevamo optato per due filetti ed un piatto di pasta… da bere acqua, ovviamente… il cameriere ci aveva squadrati senza darlo troppo a vedere, probabilmente avevamo scritto chiaro in faccia la nostra provenienza: quartiere residenziale…
“Vado a lavarmi le mani…”
Così mi ero alzata per raggiungere la toilette, il bagno più grande e splendente che avessi mai visto nei miei sedici anni di vita… tutto in quel posto era “più di quanto avessi mai”… guardandomi nell’enorme specchio notai quanto quella stanza fosse immacolata, nemmeno l’alone di una goccia d’acqua sulla porcellana bianca… meglio mangiare con le mani sporche che rovinare quella perfezione… scrollai le spalle e mi avviai verso la porta, abbastanza lentamente da cogliere delle voci sconosciute provenienti dalla sala… che mio padre avesse ragione? Forse li stavano avvertendo dell’errore… aprii la porta lo stretto indispensabile per ascoltare e riuscire a cogliere uno spicchio della scena…
“Salve signori…”
Due uomini in completo scuro se ne stavano dritti davanti al tavolo… potevo vederli solo di spalle, ma di certo erano sconosciuti…
“Salve… c’è qualche problema?”
Ecco, adesso mio padre stava davvero sudando… che vergogna essere cacciati da un posto così…
“A dire la verità credo proprio di sì…”
“Che succede?”
Uno dei due si era mosso, circondando il tavolo fino a raggiungere l’altro lato della stanza… adesso riuscivo a vederlo in viso, ma quei tratti così seri non mi dicevano niente…
“Aspettavamo il Signor Gordon stasera… avevamo una questione importante da risolvere.”
Papà aveva sollevato le spalle, istintivamente intimorito da quelle facce sconosciute ed impassibili…
“Mi dispiace signori, ma non credo che il capo verrà… ha regalato questa cena a me e alla mia famiglia quindi…”
“Quindi non verrà...” lo aveva interrotto l’altro arricciando le labbra come se dovesse pensarci su “..è davvero un peccato.”
ll tono gentile e liscio come il velluto, da dare i brividi…
“Mi dispiace.”
Il tizio di spalle aveva infilato le mani in tasca… “Oh mi creda, dispiace anche a me dover rovinare la vostra cena…”
“Prego?”
Da quel momento tutto era successo in una manciata di secondi, il tizio di spalle aveva tirato fuori la pistola, mentre l’altro aveva messo le mani attorno al collo di mia madre… papà si era alzato di scatto…
“La prego, qualsiasi cosa sia noi non c’entriamo niente.. davvero.. sono solo un semplice impiegato.. Remì Arnaul... un semplice impiegato.. la prego…”
“Davvero non dubito delle sue parole signor Arnaul, ma è tempo che Gordon impari la sua lezione… non si sfugge agli Shimamura...”
Uno sparo… un solo unico sparo… mo padre era caduto in un tonfo sordo, il rumore del suo corpo coperto dalle urla di mia madre.
Davanti a quella scena mi ero coperta la bocca con le mani, tanto stretta che non potesse uscirne neanche un suono, nemmeno un respiro… scostandomi dalla porta avevo cercato appoggio al muro, totalmente paralizzata dal terrore e dal disgusto…
“Remì! No Remì!”…la voce stridula di mia madre come unico sottofondo.
Un secondo sparo… secco… poi il silenzio.
Di nuovo avevo impedito a me stessa di urlare, mossa esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza… così ero finita dentro la toilette, la porta chiusa a chiave senza via di fuga, arrampicata sul water immacolato, le ginocchia strette al petto ed il viso inondato dalle lacrime… silenziose lacrime di paura… ora sarebbe stato il mio turno.
La porta si era aperta lentamente, i passi dello sconosciuto pesanti sul parquet… il tizio si era guardato intorno, quel bagno non era stato usato di recente, nemmeno una goccia d’acqua nel lavandino… accovacciandosi lo stretto indispensabile aveva esaminato la fessura sotto la porta della toilette… nulla anche lì…
“Il bagno è pulito signore!”
“Bene… andiamocene allora…”
Dopo l’ultimo stridio della porta era passata un’eternità… o forse solamente cinque minuti… il tempo si era fermato… il mondo intero si era fermato.
Sedici anni, nessun fratello o sorella…. parenti più prossimi all’altro capo degli Stati Uniti… cheerleader al terzo anno di liceo, presidentessa nonché stella nascente della classe di recitazione… Capelli biondi e grandi ambizioni… l’orgoglio di mamma e papà…
Sedici anni… sola al mondo…
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SEI ANNI DOPO
Sorrisi a me stessa trovando finalmente la stanza 127b… era stato un lungo viaggio quello da New York, ma ora la stanchezza sembrava sparita… non vedevo Tyler da quasi un anno, da quando il mio ragazzo aveva deciso di proseguire gli studi di ingegneria a Jhoannesburg… l’ambizione del resto era una delle tante cose che avevamo in comune… dopo interi mesi di comunicazioni virtuali quella di partire era stata un’esigenza naturale, l’idea di fargli una sorpresa una piacevole aggiunta… già dall’aeroporto pregustavo la faccia di Tyler non appena avessi aperto la porta, impaziente per quello che sarebbe avvenuto subito dopo… bussai decisa passando un’ultima volta l’altra mano tra i capelli.
Al di là della soglia il viso deluso ed assonnato di una ragazza dalla chioma scura... le gambe ed i piedi nudi che spuntavano da una t-shirt da uomo…
“Non sei la mia pizza…”
Sollevai un sopracciglio… di certo avevo sbagliato stanza…
“Scu… scusami… devo aver sbagliato piano, stavo cercando…”
Il nome mi morì in bocca. “…Tyler...”
Eccolo lì, addosso solamente i pantaloni scoloriti di una tuta e due grosse occhiaie da chiaro dopo sbronza… se non altro ero riuscita ad ottenere la faccia stupita che tanto avevo sognato…
“Françoise… non è come sembra.”
Avevo inclinato il viso passando gli occhi dal mio fidanzato alla sconosciuta… le labbra serrate ed il respiro prolungato per evitare di scoppiare in lacrime o peggio, uccidere uno dei due…
“Lascia stare…” …riuscii infine a dire, due sole parole, ruvide in gola come carta vetrata… strinsi la presa intorno al trolley e girai i tacchi senza bisogno di altre spiegazioni… dovevo uscire dal campus universitario il più presto possibile, solo una volta fuori di lì mi sarei concessa di sentirmi una perfetta idiota.
I passi di Tyler mi seguivano incerti per i corridoi… cavolo, doveva davvero essere stata una sbronza epocale se nonostante anni di atletica non riusciva a starmi dietro… meglio così…
“Lasciami in pace!”
“Aspetta! Lascia che ti spieghi!”
Avevo inchiodato i passi davanti all’ultimo portone… “Cosa vuoi spiegare Tyler? Vuoi forse dirmi che non fai sesso con quella lì?”
I suoi occhi fissi al pavimento avevano risposto… “E’ successo, è semplicemente successo… ma questo non vuol dire niente, non ho mai pensato di lasciarti… sarebbe rimasto tutto qui…”
“Ma dici sul serio!?” improvvisamente era salita la voglia di prenderlo a schiaffi…
“Ti prego Françoise, lei non significa nulla per me.. mi sentivo solo e allora…”
Il suono secco del palmo della mia mano sulla guancia di Tyler aveva rapidamente messo fine a quella serie di fandonie… solo? Si sentiva solo?? E io allora? Io che come una stupida mi ero chiusa a vita monastica? Che avevo speso un intero stipendio per quel viaggio? Che mi fidavo ciecamente di lui?
Senza degnarlo di un ulteriore sguardo uscii dall’edificio e trascinai la valigia fino alla strada… giustizia divina volle che dopo una simile umiliazione ci fosse almeno un taxi libero ad aspettare… mi lasciai cadere sul sedile…
“All’aeroporto...”
Immediatamente rovistai nella borsa alla ricerca del cellulare… mai prima di quel momento ero stata tanto felice che una delle mie migliori amiche lavorasse per l’American Airlines…
“Ehi! Tutto bene? Sei riuscita a trovare Tyler?”
Ignorai il suono odioso di quel nome e la voce trillante di Catherine…
“Sto tornando all’aeroporto… devi trovarmi immediatamente un volo di ritorno per New York...”
“Come dici? Ma che è successo?”
“Ti dico solamente che sono stata io a ricevere la vera sorpresa… trovami quel volo ti prego...”
“Ma stai bene?”
“Sì Cathy, sto bene… ho solo bisogno di tornare a casa…”
“Aspetta… non credo che ci siano voli per New York questa sera…”
“Non credi?”
“No… dovrai aspettare domani…ti prenoto un posto sul volo delle dieci...”
“E’ davvero possibile che non parta nulla fino a domani? Ti prego Cathy, non importa quanti lunghi scali dovrò sopportare, non voglio restare in questo maledetto paese un minuto di più!” … uno sguardo veloce al tassista sperando di non aver offeso il suo spirito patriottico…
“C’è un solo volo stasera, ma non puoi prenderlo.”
“Che vuol dire che non posso prenderlo?”
“Credimi, è meglio aspettare fino a domani.”
“Cathy…” …il tono a metà tra l’ammonimento e la disperazione.
“Parte alle sei, ma non è un normale volo di linea… ci saranno delle persone a bordo, persone che sarebbe meglio evitare…”
“La smetti con questi misteri per favore?” …un’occhiata all’orologio… cinque meno dieci… perfetto… “…prenotami un posto su questo famigerato volo e ti prego, fammi saltare la fila al check in…”
Il sospiro di Catherine all’altro capo era stato lungo ed incerto…  “…sei davvero sicura di non poter aspettare?”
“Ho appena trovato il mio ragazzo a letto con un’altra… no, non posso aspettare…”
Di nuovo un sospiro…  “…allora è meglio che forse ti spieghi prima... questo volo sarà usato per un trasporto speciale...”
“Trasporto speciale?”
“Esatto… in casi eccezionali le forze dell’ordine utilizzano i normali voli di linea per trasferire all’estero i detenuti estradati… e questo è uno di quei casi…”
“Vuol dire che il mio aereo sarà pieno di poliziotti? Beh, nella remota ipotesi di un dirottamento aereo suppongo che la cosa potrebbe tornarmi utile…”
“Non è così semplice Fran… non dovrei nemmeno dirti certe cose…” …l’ennesimo lungo sospiro “…si tratta di una procedura complessa, utilizzata dalle autorità internazionali solo per il trasferimento dei peggiori criminali… non so se mi spiego, assassini, attentatori, capi mafiosi…”
Sollevai le sopracciglia cercando di trovare un senso logico a quel discorso da film d’azione… Catherine tuttavia sembrava davvero preoccupata…
“Ho capito Cathy… vedrò di stare lontana dai poliziotti e dal tizio in tuta arancione…”
“È questo che mi preoccupa Fran… non vedrai alcun poliziotto tantomeno divise carcerarie… saranno tutti vestiti in abiti borghesi e mischiati agli altri passeggeri, compreso il criminale in questione…”
“Mh… avrà almeno le manette spero.”
“No...”
A quella risposta secca mi tirai su dal sedile, dal finestrino riuscivo già a scorgere le piste dell’aeroporto… tornarmene a casa era ciò che più desideravo, ma il tono preoccupato di Catherine stava cominciando a farmi agitare…
“…lo scopo di questi trasporti è passare totalmente inosservati, senza che la stampa o gli affiliati si accorgano di nulla… nessuno penserebbe mai di avere un assassino seriale seduto al proprio fianco su un volo in economy class, giusto?”
“Quindi non c’è modo che io possa riconoscerlo e stargli lontano?”
Catherine aveva impercettibilmente abbassato la voce “… sei davvero certa di non poter aspettare fino a domani?” …l’immagine della ragazza mora con addosso la maglietta sudata di Tyler mi si piantò davanti agli occhi… “…ti prego Cathy, fammi tornare a casa… ti prometto che non mi succederà niente…”
Il tono della mia amica ora ancora più basso… “…ok, ascoltami bene però…” …avevo stretto il cellulare all’orecchio per riuscire a sentirla nell’improvviso caos della stazione aerea… “…non dovrei dirtelo, ma da quello che so le autorità hanno un’idea precisa dell’outfit borghese… jeans, maglietta chiara e scarpe da tennis… l’unico particolare che rende il detenuto riconoscibile è un braccialetto d’acciaio al polso sinistro…”
Sollevai gli occhi rendendomi conto solo in quel momento che il taxi si era fermato, mentre il tassametro continuava a girare…
“Braccialetto ok, starò lontana dai braccialetti… sono già all’aeroporto, ci sentiamo tra qualche ora…” …allungando tre banconote al tassista raccolsi i miei pochi averi e chiusi lo sportello, la comunicazione ancora aperta…
“Sta’ attenta Fran...”
“Grazie Cathy... sei un’amica, davvero…”
Mi tuffai nella folla vociante del Tambo Airport, accompagnata dal solo pensiero fisso di un braccialetto d’acciaio…
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CENTRO DI POLIZIA DI JOHANNESBURG
Il capitano buttò giù il telefono con un gesto di nervosa esasperazione… si passò le mani sulla faccia dopo un’intera notte insonne… la porta dell’ufficio si aprì di colpo…
“Salve capitano...”
“A te Tony…”
L’altro agente sospirò con un sorriso…  “…non riesco a credere che l’abbiamo preso davvero… non posso credere che il famoso Mamba sia sul serio ammanettato nella stanza accanto...”
Il capitano scosse la testa…  “…credi a me, questo è un onore di cui avrei volentieri fatto a meno…”
Tony aggrottò la fronte…  “…ci sono problemi capitano?”
L’altro mandò giù un sorso di caffè nero ignorando per un attimo la mole di carte e documenti sparsi sulla scrivania…  “…nessuno lo vuole… tantomeno io…” …Tony si avvicinò afferrando una cartella a caso… “…è nato a Londra giusto? Contattiamo l’ambasciata inglese…”
“Ho appena concluso un’interessante conversazione con Scotland Yard, non hanno la minima intenzione di immischiarsi in questa faccenda...”
Tony si grattò la fronte… “…e se lo processassimo qui?”
Il capitano lo guardò come se gli avesse appena chiesto di ballare nudo di fronte al Presidente…  “…sai bene di chi stiamo parlando… non ho nessuna intenzione di attirare su questo paese l’interesse degli Shimamura…”
“Eppure i giapponesi non si sono fatti troppi problemi quando hanno chiuso in cella suo fratello…”
Il capitano scosse la testa… “…quando si ha a che fare con loro è solo questione di tempo… dobbiamo liberarci di lui il più presto possibile...”
“E’ ricercato in più di dieci paesi, qualcuno dovrà pur prenderselo...”
In quel momento il telefono squillò di nuovo, all’altro capo del filo il Capo Bureau dell’Ufficio per il controllo del crimine organizzato di New York…
“Salve Capitano Wilson… a quanto mi dicono ha qualcosa che potrebbe interessarmi...”
Il capitano si schiarì la voce… “…vi interessa?”
“Certo che ci interessa… quella famiglia muove i fili della criminalità americana da troppo tempo e mai come ora abbiamo bisogno di un colpo di scena che riporti l’attenzione pubblica sull’efficienza delle nostre autorità...”
“Già… dimenticavo che siete in campagna elettorale...”
“Quando crede di potercelo consegnare?”
“Anche subito...”
“Bene, in tal caso mettetelo sul volo EHF7873 delle sei… solita procedura…”
“Solita procedura…”
La comunicazione si chiuse senza ulteriori saluti, il capitano si lasciò sfuggire un sospiro liberatorio…
“Se lo prendono gli americani… preparalo per il volo...”
Tony annuì uscendo dall’ufficio ed entrando poco più tardi nella stanza vicina…
L’aria consumata che stagnava tra quelle quattro mura gli riempì le narici, sapeva di sangue secco e sudore… lanciò un sacchetto di plastica verso l’angolo e squadrò con ritrovata presunzione l’uomo ammanettato alla sedia… Joe Shimamura... Il Mamba, l’imprendibile Mamba, killer di precisione e membro di spicco della più potente famiglia filo-mafiosa ancora in circolazione…
Il Mamba sollevò la testa, sfinito dai mille colpi ricevuti e dalla dose massiccia di calmanti iniettati direttamente in vena… il suo viso tuttavia non lo dava a vedere, un’espressione fiera e sicura continuava a campeggiare tra i segni delle percosse… i suoi occhi poi, i suoi occhi scuri fissavano Tony come se fosse una preda, un povero piccolo agnellino smarrito... da far accapponare le pelle…
“Dobbiamo proprio darti una ripulita…” …esordì Tony raggiungendolo… “…te ne vai in America…”
Il Mamba si raddrizzò sulla sedia, sentir nominare gli Stati Uniti era dolce musica per le sue orecchie, decisamente meglio delle carceri afgane o cinesi… si schiarì la gola cercando di ignorare che fosse asciutta come il deserto…
“La telefonata...” …disse con voce roca, Tony aggrottò le sopracciglia… “…prego?”  …lui sospirò… “…ho diritto ad una telefonata...” …l’agente si morse il labbro controllando i nervi, per quanto odiasse quel criminale, non poteva comunque negargli un suo pieno diritto legale…
“Bene…” …replicò stizzito avvicinandosi ulteriormente a lui… sapeva di correre un rischio incalcolabile, ma non aveva nessun altro modo di compiere il suo dovere pur rispettando la carta dei diritti… doveva liberargli almeno una mano, consapevole del fatto che, nelle giuste circostanze, la forza di cinque dita sarebbe bastata al killer per spezzargli l’osso del collo in un momento… fortunatamente aveva in circolo una dose di benzodiazepine tale da stendere un cavallo…
Gli porse l’apparecchio telefonico e si voltò… maledetto diritto alla privacy…
Il Mamba attese di essere solo per comporre velocemente il numero impresso nella sua mente… da usare solo nelle emergenze… da usare solo in caso di arresto… da usare una sola ed unica volta…
Dopo due squilli sentì il respiro di suo fratello maggiore rispondere senza bisogno di parole, trenta secondi appena per parlare prima che la telefonata fosse rintracciabile…
“Volo con l’aquila… vedo la libertà…”
La linea cadde immediatamente e il Mamba lasciò cadere a terra anche il telefono, approfittando di quel momento per distendere i muscoli del braccio… incredibile trovarsi in quella situazione, il più brutale degli Shimamura catturato durante la più stupida delle operazioni, un semplice ritiro di crediti nella Repubblica Sudafricana… tutta colpa di Jonah... l’unica cosa che gli aveva raccomandato quella sera era stata la puntualità… nient’altro, solo la puntualità… eppure il fratellino minore non si era smentito nella sua congenita incapacità di prendere le cose sul serio… dieci minuti di ritardo, ben dieci minuti di ritardo! L’avrebbe pagata, questo è certo…
Fortunatamente comunque, in aggiunta ad un fratello immaturo e sconsiderato, il destino gliene aveva fornito un altro, Jet, intelligenza e senso dell’onore sopraffini, un pianificatore perfetto… il Mamba sorrise a se stesso, sapeva già bene come sarebbe venuto fuori da quel fastidioso contrattempo… rischioso, ma necessario...      
Tony spalancò la porta della stanza accompagnato da altre tre persone in divisa, raccolse la busta di poco prima e ne tirò fuori degli abiti puliti… un paio di jeans, una t-shirt qualunque, un paio di anonime sneakers…
“Vediamo di fare una cosa veloce… prima ci liberiamo di questo bastardo meglio è…”

 

Parte 2


Ero riuscita a salire sull’aereo per prima, saltando la fila grazie al nome di Catherine... rincuorata dalla solitudine mi ero trascinata fino ai primi sedili, quelli adiacenti alla cabina del capitano… da quella posizione non avrei visto nessun altro dei passeggeri e quindi avrei evitato di chiedermi in continuazione quale degli sconosciuti fosse l’assassino... trovata la posizione più comoda possibile tirai fuori dalla borsa un libro, determinata a tuffarmi in una realtà parallela per le prossime diciotto ore… diciotto ore a migliaia di metri di altezza con un feroce criminale alle spalle… maledissi Tyler ancora una volta…
Diverse voci riempirono l’abitacolo a poco a poco, uomini di mezz’età, una simpatica signora sulla sessantina con un orribile cappello in testa, una giovane coppia… nonostante l’idea iniziale di estraniarmi totalmente non potei fare a meno di voltarmi e sbirciare più e più volte il portellone dell’aereo… lo stomaco continuava a contorcersi, incredibile quanti viaggiatori avessero optato per jeans e maglietta… tornai a fissare la parete grigia davanti a me, presi a tamburellare con le dita sui braccioli…
“Tutto bene?”
Di scatto mi voltai verso il ragazzo che aveva appena deposto il bagaglio a mano dall’altro lato del corridoio… non potei fare a meno di esaminarlo mentre toglieva anche la giacca… jeans… maglietta grigia… un paio di scarpe da ginnastica consumate ai piedi… scattai sul sedile… che fosse proprio lui?
“Sì…” …risposi incerta “…tutto bene…”
L’altro sorrise… “…anch’io ero terrorizzato all’idea di restare diciotto ore su un aereo la prima volta, ma se riesci a dormire un po’ passeranno molto più in fretta...”
Dormire? E come avrei mai potuto dormire sapendo di avere accanto uno spietato criminale?
Il ragazzo tirò su le maniche della maglia prima di accomodarsi ed allacciare la cintura intorno alla vita… i mie occhi si catapultarono sui suoi polsi… nessun braccialetto… riuscii finalmente a respirare… forse avrei dovuto accettare il consiglio di Catherine...
Cinque ore, centosettantatre pagine ed un pessimo pasto dopo, iniziai a sentire le gambe che chiedevano pietà… provando ad allungarle capii ben presto di non avere abbastanza spazio… senza contare che anche la vescica iniziava a brontolare… inspirai a pieni polmoni, dovevo alzarmi e raggiungere l’altro capo dell’aereo fino alla toilette… dovevo andarci per forza, nonostante l’inevitabile consapevolezza che in quei pochi passi sarei di certo passata accanto al criminale… Ok... posso farlo… devo solo alzarmi e tirare dritto fino al bagno senza alzare gli occhi… ce la posso fare...
Incoraggiata dalla mia stessa voce interna slacciai la cintura e mi misi in piedi, ignorando i dolorosi crampi alle ginocchia… passai le mani tra i capelli, detti una rapida rinfrescata all’abito ormai irrimediabilmente sgualcito, ed iniziai la mia impresa, un passo alla volta, gli occhi tenuti incollati alla moquette…
A metà strada qualcosa bloccò la mia marcia, lo scontro con un altro corpo… costretta a sollevare la testa mi trovai di fronte il sorriso cordiale di un’hostess in divisa blu…
“Tutto bene signora?”
“Sì, devo solo…” …senza specificare altro indicai la toilette con un cenno del viso… la ragazza in tailleur sorrise di nuovo… “…certo, prego…” …rispose educatamente spostandosi per lasciarmi passare… un altro passo appena e stavolta fu un vuoto d’aria a bloccarmi, lo sbalzo dell’aereo mi fece perdere l’equilibrio e finire maldestramente contro un altro dei passeggeri, seduto e beatamente perso nello schermo del proprio pc…
“Oddio, mi scusi!”
Mi sentii immediatamente addosso gli occhi di almeno metà delle persone presenti, l’imbarazzo vistosamente dipinto nel rosso delle mie guance… solita imbranata… subito sulla difensiva, decisi di riprendere la marcia per il bagno a testa alta, dimenticando in un secondo l’accaduto…
Fu solo allora che i miei occhi incrociarono uno degli sguardi fissi su di me… un ragazzo, venticinque anni o poco più, rigido contro il sedile, un fastidioso sorrisino divertito in faccia… deglutii respingendo una nuova ondata di vergogna, avrei voluto riportare il viso a terra, ma non mi riuscì facilmente come avrei creduto. Quello era senza dubbio l’uomo più bello che avessi visto in molto, molto tempo… capelli biondi, non troppo corti, mossi e spettinati, che li ricadevano sulla fronte coprendogli parzialmente lo sguardo… occhi scuri… lineamenti angelici, ma incredibilmente virili… zigomi perfetti e delle labbra… Obbligai me stessa a guardare altrove per un momento e riprendere fiato… labbra quasi disegnate, così intense da… scossi la testa senza rendermene conto, determinata a tornare alla realtà… l’attimo in cui riuscii finalmente a superare il suo sedile sembrò infinito, dopodiché la corsa verso il bagno…
Mi guardai immediatamente nel minuscolo specchio… solita sfortuna… solita maledetta sfortuna… il ragazzo più bello che avessi mai visto è lì, sul mio stesso aereo, intrappolato con me per le prossime tredici ore, ma i miei capelli sono un casino e la mia faccia porta i segni di due voli extracontinentali in tre giorni… senza contare che avrei dovuto preoccuparmi di ben altre cose, vedi il fallimento della mia storia con Tyler o la presenza di uno spietato boss mafioso tra i passeggeri…
Scossi la testa e lasciai scorrere l’acqua sulle mani insaponate, sperando che il liquido freddo lavasse via quei nitidi ed inopportuni pensieri sullo sconosciuto…
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Tenevo la schiena dritta contro il sedile, dovevo evitare di assumere posizioni innaturali e troppo stancanti per mantenermi pronto a scattare… le mani poggiate sui braccioli e l’aria più indifferente che mai… i poliziotti erano sparsi per tutto l’aereo, potevo facilmente individuarli anche a distanza… il resto della marmaglia composto da persone del tutto insignificanti…
Strinsi i denti e tesi i muscoli del collo tornando a contare il tempo… ormai dovevamo già essere sopra l’oceano… ormai doveva mancare poco… trattenni a stento l’istinto di stirarmi, le guardie erano ancora convinte che fossi sedato e dovevo impegnarmi per mantenere tale convinzione… nessuno poteva sapere che durante l’addestramento mi avevano iniettato pressoché qualsiasi tipo di sedativo, droga o veleno, sempre in piccole quantità affinché il mio organismo ne diventasse immune… qualsiasi movimento troppo ampio o veloce avrebbe rischiato di compromettere la copertura…
Inspirai… avrebbero almeno potuto darmi un libro o un lettore mp3… quel viaggio stava davvero diventando noioso… sino a che il piano di Jet non fosse scattato, ogni minuto sarebbe stato lungo il triplo…
L’ingorgo creatosi al centro del corridoio richiamò la mia attenzione, non che qualcuna di quelle persone avesse la minima importanza o attrattiva per me, ma tanto valeva concentrarsi su altro…
L’hostess in divisa blu mi dava le spalle, anche da dietro era del tutto anonima, una bellezza nella media non degna della mia attenzione… fu solo quando l’hostess si tolse di mezzo che qualcosa riuscì finalmente a catturare il mio interesse… qualcuno, ad essere precisi… una ragazza, una giovane ragazza impacciata alle prese con un vuoto d’aria… vedendola crollare addosso al tizio con gli occhiali non riuscii a non sorridere, l’accenno di un sorriso genuinamente divertito…
La sconosciuta si era tirata su e le sue guance si erano accese di rosso, un rosso talmente innocente da attirare la mia completa concentrazione… accantonato il piano per un attimo mi concessi di osservare la totalità della sua figura, senza che alcun particolare sfuggisse ai miei occhi esperti… lunghi capelli dorati, lasciati liberi sulle spalle... pelle bianca e perfetta, così chiara che i suoi occhi azzurri sembravano saltare fuori dal viso, grandi ed incerti… scorrendo più giù ne accarezzai la figura minuta sotto il vestito blu scuro, da come le cadeva sui fianchi ero certo che il sottile strato di tessuto nascondesse misteri altrettanto interessanti…
Se solo non mi fossi trovato in quella situazione, se solo quello fosse stato un semplice viaggio d’affari. Deglutii istintivamente mentre lei mi sfilava accanto scomparendo dalla mia vista… in altre circostanze mi sarei già alzato e l’avrei seguita nella toilette… in altre circostanze l’avrei spinta dentro senza nemmeno dirgli il mio nome… in altre circostanze le avrei già strappato di dosso quell’insignificante abito blu…
Mi irrigidii contro il sedile scoprendo con piacere che, nonostante la situazione, il mio corpo rispondeva ancora benissimo agli stimoli… peccato non poter sfogare quella voglia improvvisa… l’immagine della ragazza mi riempì la mente… spinta contro il minuscolo lavandino, le gambe aperte, avvinghiate intorno ai miei fianchi, le guance tinte dello stesso rosso che le avevo visto addosso poco prima… non più di vergogna, ma di puro piacere… il mio nome pronunciato più e più volte come una preghiera…
Poggiai la testa all’indietro ridendo dei miei stessi pensieri… se ne avessi davvero avuto modo l’avrei presa come nessun altro prima, sicuro che non se ne sarebbe dimenticata… nessuna donna dimentica le mani del Mamba… io, d’altro canto, l’avrei scordata subito dopo, lasciando che il ricordo del suo sapore e dei suoi gemiti si mischiasse a quello di tutte le altre donne passate per il mio letto…
Lo scatto della porta della toilette mi riportò alla realtà, in attesa, con la coda dell’occhio, che la sconosciuta ricomparisse… i suoi passi lenti e leggeri, quasi volesse ritardare l’incontro il più possibile… sollevai l’angolo della bocca in una smorfia compiaciuta, certo del mio effetto sulle donne, la mia arma preferita dopo i coltelli affilati…
L’intenso profumo dolciastro di fiori e vaniglia raggiunse le mie cellule olfattive, riaccendendo in un istante la fantasia erotica… doveva essere quello l’odore della sua pelle… come avevo potuto non notarlo prima? Ed eccola comparire al mio fianco, impossibile resistere alla tentazione di seguirla con gli occhi e sorriderle. .. la sconosciuta esitò appena in prossimità del mio sedile, quasi spaventata all’idea di incontrarmi ancora... Voltai la testa verso di lei, deciso a memorizzare ogni dettaglio prima di lasciarla sfilare via… lei rispose al mio sguardo, un velo d’imbarazzo in viso mentre si sforzava di restare impassibile… i suoi grandi occhi chiari brillarono contro i miei, iridescenti come opali…mai visti occhi così prima… di colpo l’idea che dovesse morire mi chiuse lo stomaco… che gran peccato…
Quasi mi avesse letto nel pensiero la ragazza abbassò lo sguardo, seguendo la linea delle mie braccia sotto la t-shirt, schiudendo appena le labbra rosse, accarezzandomi il braccio sinistro con gli occhi, fino alla mano, fino alla punta delle dita… l’incontro di pochi passi diventato una scena a rallentatore…
Di colpo la magia si interruppe, la vidi spalancare gli occhi ed irrigidirsi, l’imbarazzo divenuto paura in un secondo… spiazzato da un simile repentino cambiamento d’umore, individuai immediatamente il punto preciso che lei stava fissando, la causa di quell’improvviso, incomprensibile spavento… le mie pupille finirono a guardare il mio stesso polso, stretto dentro quell’orrendo braccialetto di metallo… il braccialetto…
Sollevando la testa immediatamente mi accorsi che la ragazza era già in fondo all’aereo, come se dal mio sedile in poi avesse corso verso la sicurezza… socchiusi le palpebre serrando le labbra… lei sapeva… la sconosciuta sapeva del braccialetto e di cosa volesse dire… la ragazza dell’aereo conosceva la mia identità… fissai il sedile davanti quasi potessi attraversarlo ed arrivare fino a lei… non era una poliziotta, di questo ero sicuro, tantomeno un’agente di sicurezza o una diplomatica americana immischiata nel mio caso... era una ragazza qualunque in volo da Johannesburg… come poteva conoscere la regola del braccialetto? E come mai io invece non avevo idea di chi fosse? Morsi piano il labbro inferiore… Jet avrebbe fatto meglio a muoversi col suo piano di fuga, altre tre ore con quel dubbio e avrei finito per avere un terribile mal di testa…
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Ero crollata sul sedile allacciando la cintura immediatamente dopo, quella breve corsa a passi veloci sembrava avermi sfinita… inspirai piano, ripassando a mente ciò che avevo appena vissuto… lo sconosciuto sexy, i suoi occhi addosso, la sensazione di calore improvvisa, l’impressione di essere nuda davanti a lui… il suo mezzo sorriso da cattivo ragazzo, i muscoli scolpiti sotto la maglietta bianca, l’avambraccio teso, un braccialetto anonimo al polso, le mani lasciate riposare sui jeans… cosa avrebbero mai potuto farmi quelle mani?   Aspetta… il cervello si era riacceso in un flash… jeans.. braccialetto… maglietta bianca… ragazzo cattivo… braccialetto… braccialetto d’acciaio… assassino… lui… lui è l’assassino… il mio cuore aveva preso a battere come una mitragliatrice ed i piedi mi avevano portata a posto in un secondo… l’atmosfera dell’aereo era mutata immediatamente dopo, l’aria divenuta difficile da respirare… Strinsi gli occhi chiusi cercando di cancellare completamente la fantasia di essere toccata da quelle mani, rimpiazzandola con l’idea che fosse un mostro… fantastico… ero riuscita ad attirare l’attenzione del mostro… probabilmente, mentre io sognavo di rotolare tra lenzuola di seta, lui stava immaginando di squartarmi e dipingere un quadro con le mie viscere… mi venne da vomitare… tirai fuori l’Ipod e decisi di farmi aiutare dalla musica, per quanto possibile…
Ad occhi chiusi lasciai che la voce di Bono Vox compisse il miracolo, permettendo al tempo di scorrere più in fretta, interrompendo il conto mentale di quanti fossero i modi per morire torturata da un assassino psicopatico… il mio petto andava su e giù come stessi dormendo, l’idea che probabilmente si era fatta l’hostess al mio fianco… spalancai le palpebre sentendomi di colpo osservata, la ragazza dell’American Airlines si ritirò quasi spaventata…
“Mi… mi scusi signorina… gradisce qualcosa?”
Roteai in bocca la lingua asciutta “…sì… un caffè macchiato per favore…”
L’altra sorrise ed afferrò immediatamente il bicchiere di cartone, riempiendolo quasi fino all’orlo con la bevanda fumante… me lo porse senza togliersi dal viso l’irritante espressione di cortesia… feci per afferrarlo, ma la mia mano non strinse abbastanza forte la presa, il bicchiere cadde dritto sulle mie ginocchia, il caffè bollente rovesciato in un’onda su tutto il suo vestito… la prima sensazione fu la pelle che andava a fuoco, l’estrema necessità di raffreddarmi il prima possibile… davanti allo sguardo mortificato dell’hostess balzai in piedi cercando di staccare la stoffa bollente dalla pelle sottostante… il fastidio sparì abbastanza velocemente da lasciare il passo alla consapevolezza di avere addosso un vestito completamente impiastricciato di panna e caffè… sbuffai ruotando gli occhi al cielo… possibile che non ne andasse una dritta? Scossi la testa… ora avrei dovuto di nuovo attraversare l’aereo per raggiungere il bagno e darmi una ripulita, l’odore della miscela già diventato fastidioso… con un sospiro vistoso ignorai le scuse superflue dell’hostess e mi allungai per recuperare il bagaglio a mano, salviettine usa e getta e fazzoletti di carta… guardai la porticina lontana della toilette e decisi che stavolta davvero, davvero non avrei distolto lo sguardo dalla meta per nessuna ragione al mondo…
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Eccola di nuovo… la vidi balzare in piedi, la piccola doveva davvero essere imbranata… la sua innocente incapacità, un interruttore per le fantasie più perverse… sorrisi appena guardandola avvicinarsi con sguardo determinato, il suo abito un disastro marrone, la stoffa sintetica appiccicata alla curva del suo seno… la cosa si stava facendo sorprendente, quella ragazza attirava le mie cellule come un magnete, come forse nessuna donna incontrata prima… di nuovo le mie interiora sembrarono intrecciarsi, che grande spreco lasciarla andare giù con l’aereo…
Se solo lo show potesse cominciare in fretta… lanciai un’occhiata al finestrino, si era fatta notte e ormai dovevamo aver passato il confine delle acque internazionali… strinsi la presa intorno ai braccioli cercando di guadagnare di nuovo tutta la concentrazione necessaria… inspirai a pieni polmoni… due volte… tre volte… eccolo… il segnale che tutto stava cominciando…
L’odore dolciastro dell’etere etilico diluito con qualche altro gas raggiunse le mie narici esperte prima di tutte le altre, presi a respirare più lentamente, intervallando venti secondi prima di inalare di nuovo… controllai in maniera impercettibile che tutti i miei muscoli rispondessero ai comandi e rimasi ad aspettare… Jet non aveva smentito la sua naturale inclinazione verso veleni e tossine…
Non appena il tizio alla mia sinistra prese a sonnecchiare, del tutto ignaro dell’azione della miscela sui suoi polmoni, staccai la schiena dal sedile… gli occhi attenti dell’agente accanto a me mi piombarono addosso…
“Devo pisciare…”
Specificai senza troppe cerimonie, l’altro rispose con un cenno della testa… d’altra parte tutta la polizia a bordo si era fatta forte dietro la mia presunta impossibilità di fuga a dodicimila metri di altezza… poveri illusi… mi tirai su lentamente e stirai la schiena smettendo di respirare, poi mi voltai verso la toilette… no… cazzo… la sconosciuta nel bagno… imprecai a denti stretti, non potevo perdere tempo, anche se il mio corpo era allenato, non avrei potuto resistere al gas narcotico tanto più a lungo degli altri… raggiunsi la porta in pochi passi e bussai cortesemente…
“Occupato!”
Imprecai di nuovo… bussai una seconda volta…
“Un attimo!”
Bussai una terza volta, stavolta più deciso…
“Ma che diavolo…”
Non appena girò la serratura piombai nella stanzetta chiudendomi a chiave la porta dietro le spalle… guardandola in viso, sconvolta e pronta a liberare un urlo in grado di svegliare anche i morti, le premetti una mano sulla bocca… lei prese a scalciare nello spazio ristretto, cercando di colpirmi in un qualunque punto doloroso… sospirai per nulla messo in difficoltà dai suoi movimenti scoordinati… stretta alle spalle con l’altro braccio la spinsi contro il lavandino, sbattendole la testa contro il piccolo specchio... i suoi grandi occhi azzurri sgranati come se sapesse di stare per morire… smise di dimenarsi come un’anguilla e potei allentare la presa… il suo seno andava su e giù ad un ritmo incredibile, consumando più aria del consentito… dovevo riuscire a calmarla…
“Tranquilla… non ti farò del male…”
Rimase immobile, nessuna emozione diversa dalla paura le attraversò il viso…
“Ti prego, non urlare…”
Aggiunsi… lei restò un pezzo di ghiaccio sotto le mie mani… la presa attorno alla bocca lentamente meno stretta, le sue labbra di nuovo in grado di muoversi e prendere aria… i miei occhi la tenevano inchiodata al muro, lo sguardo vitreo, ma anche impercettibilmente nervoso… le mie dita  si allontanarono dal suo viso…
“Aiut…”
La sua testa si schiantò contro la parete, stavolta in maniera ben poco delicata, la mia mano pressata contro la bocca e l’avambraccio opposto premuto sulla trachea… scelta sbagliata quella di gridare...
“Ti ho detto di non urlare...”  …ogni parvenza di cortesia sparita dal tono gelido della mia voce… gli occhi di lei spalancati ed arrossati dall’ipossia… la paura di morire… una visione fin troppo conosciuta per me, tanto scontata che riuscivo benissimo ad ignorarla.. più difficile ignorare il mio corpo premuto contro quello della sconosciuta, l’abito sollevato all’altezza delle cosce, le mani di lei premute in difesa contro il mio torace… un vero peccato essersi incontrati così…
Scossi la testa e le lasciai il respiro libero… pian piano allontanai di nuovo la mano senza distogliere l’attenzione, neanche per un decimo di secondo… le labbra della ragazza restarono serrate…
“Brava…”
Riuscii finalmente a guardarmi intorno alla ricerca del punto prestabilito…
“Che succede lì dentro??”
Due colpi alla porta e la voce dell’agente… imprecai ancora, stavolta a voce alta… il mio primo pensiero rivolto alla sconosciuta, se avesse provato ad urlare, bellissima o meno, le avrei spezzato il collo…lei rispose al mio sguardo senza muovere un muscolo, le dita strette contro il lavandino, le nocche diventate bianche per la forza impiegata…
“Tutto bene…”
“Apri la porta! Adesso!”
Sbuffai... perché  diavolo non era ancora svenuto come gli altri?
“Apri Shimamura! So che stai combinando qualcosa!”
Rimasi immobile, fin troppo tranquillo, prendendo a contare a bassa voce… arrivato più o meno ad otto un tonfo sordo si udì al di là della porta… ripresi immediatamente a muovermi, spostando di peso la ragazza verso la porta…
“Ora puoi urlare quanto vuoi...”
Finalmente lei si decise a parlare…
“Che vuoi fare?”
Tirai un pugno al soffitto facendo facilmente saltare il rivestimento, allungai un braccio nel buco cercando di alzarmi sui piedi il più possibile… ne tirai fuori una specie di zaino marrone… la spinsi ancora contro il muro per farmi spazio nella minuscola toilette… lei si trovò di fronte la porta, la sua mano scivolò immediatamente sulla maniglia…
“Fossi in te non lo farei…”
La avvertii senza distogliere lo sguardo da ciò che stavo facendo…
“…a meno che tu non voglia morire...”
“Che cosa vuoi fare?”
“Farò precipitare l’aereo…” risposi… la mia espressione quasi divertita…
“Cosa?”
Controllai che le cinghie del paracadute fossero abbastanza strette e finalmente le rivolsi lo sguardo… i suoi occhi azzurri sgranati dal terrore, sul suo viso il chiaro desiderio di chiedere pietà, la terrificante idea di schiantarsi ed esplodere, la determinazione di non supplicare… no… dopo anni passati ad uccidere ormai potevo leggere qualsiasi espressione negli occhi delle mie vittime… quella ragazza no, non avrebbe supplicato…
Mi mossi lentamente coprendo il piccolo spazio tra noi, di nuovo premetti il mio corpo contro quello della ragazza, stavolta senza violenza… sollevai una mano e lasciai scivolare la punta di un dito contro il suo viso… quella pelle color latte morbida sotto il mio tocco… i suoi capelli soffici come seta… le lunghe ciglia spalancate, decise a non cedermi… l’urgenza di baciare quelle labbra rosse mi colpì come un pugno inaspettato… qualcosa in lei mi teneva incollato, qualcosa che non avevo mai incontrato prima… mai provato… il rimpianto… la consapevolezza che avrei vissuto da quel momento in poi senza poter conoscere il tocco ed il sapore di quelle labbra…
“Non hai paura di morire?”
“Non ho molte ragioni per vivere…”
Mi staccai di colpo… ero un pazzo per pensare davvero di riuscire a farlo… comunque ci avrei provato…
“Ascoltami bene…”
Di nuovo richiamai l’attenzione della ragazza prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarmi…
“…e fa esattamente come ti dico…”
Senza specificare oltre allentai le cinghie del paracadute e la voltai così che la sua schiena fosse premuta contro il mio torace… la strinsi forte a me, premendo sul diaframma quasi fino a toglierle il respiro, allungai le cinghie e le feci girare intorno alla sua vita sottile… dopodiché le afferrai le braccia una alla volta, senza troppa delicatezza feci in modo che passassero sotto le bretelle del paracadute… sì, ero davvero un folle…
“Che… che vuoi fare con me?”
“Sta’ zitta…”
Le ordinai prima di muoversi, forte abbastanza da trascinarla con me senza alcuno sforzo… i piedi di lei sembravano non toccare più terra…
Afferrai la maniglia…
“Appena aprirò questa porta smetti di respirare…”
“Io… non po…”
Prima che riuscisse a completare una frase di senso compiuto feci scattare la maniglia e lei prese a muoversi senza intenzione, totalmente sollevata e spinta da me… intorno a noi sembravano dormire tutti, l’hostess inopportuna sdraiata e scomposta al centro del corridoio… la saltai in un solo passo e spalancai la porta della cabina di pilotaggio… i due piloti in divisa bianca avevano gli occhi chiusi e la testa ciondolante come tutti gli altri… mi sporsi in avanti e spinsi un tasto… un solo unico tasto…
Di colpo, come se fossimo piombati in un gigantesco vuoto d’aria, la pressione nell’aereo aumentò… la ragazza si portò le mani alle orecchie, spalancando bocca e polmoni, riempiendosi le vie aeree dell’intenso odore dolciastro del narcotico, mentre armeggiavo con il portellone… tutto intorno a lei svanì improvvisamente, compreso il suo stato di coscienza…

Parte 3

Mi sentii avvolta in qualcosa di morbido, di caldo e morbido… non riuscivo a capire se stessi ancora respirando o se quella fosse la sensazione della morte… mi sembrava di avere la gola in fiamme e che un treno mi stesse attraversando il cervello… mi pareva di essere schiacciata sotto una tonnellata di cemento… tentai di intrattenere una conversazione con i miei neuroni, cercando di capire se potessero ancora sentirmi... ordinai al mio indice destro di muoversi, almeno un paio di volte prima di percepire che stavo toccando qualcosa di liscio… ordinai alle mie palpebre di sollevarsi, ma la luce al di là sembrò ferirmi come una lama incandescente… mi sfuggì un lamento roco…. se potevo ancora muovermi ed emettere suoni forse non ero morta dopotutto, oppure la mia versione del paradiso faceva ancora più schifo della realtà…
Provai ancora una volta ad aprire gli occhi, uno alla volta, il più lentamente possibile… la stanza era avvolta in una luce gialla, i dettagli difficili da cogliere, il mio corpo disteso sotto lenzuola bianche… era un letto… ero sdraiata in una minuscola stanza sconosciuta… il letto sembrò muoversi di colpo ed emisi un altro gemito infastidito cercando di tenere a bada la nausea…
“Buongiorno…”
La voce sconosciuta mi arrivò alle orecchie come fosse lontana un chilometro… deglutii cercando di riportare la mente ad un piano di realtà accettabile… aereo… assassino… toilette… paracadute… non respirare… assassino… spalancai gli occhi e mi alzai in un istante… la vista sembrò mancarmi per qualche secondo, poi riuscii finalmente a mettere a fuoco dove mi trovavo...
La stanza era davvero piccola, dalla finestra tonda alla mia sinistra entrava la fastidiosa luce del sole, le pareti erano color crema, le finiture erano in legno e l’assassino dell’aereo se ne stava seduto su un’anonima sedia nell’angolo… sulla sua faccia un mezzo sorriso…
Indietreggiai sul materasso fino a spalmare la schiena contro la lettiera… il cambio improvviso di posizione mi fece vedere blu e, nel tentativo di non svenire, mi portai entrambe le mani alla testa…
Lui inclinò il capo… “Vacci piano… è stato un viaggio piuttosto impegnativo per te...” disse con tono sarcastico e divertito, mentre cercavo di prendere ossigeno e allo stesso tempo lo fissavo in assetto da fuga…
Rimasi immobile dopo un paio di lunghi respiri, rivolgendo l’attenzione a me stessa… avevo ancora addosso il vestito macchiato di caffè, mentre i miei piedi erano scalzi sotto le lenzuola… tutta la mia pelle sembrava tirare, come se avessi fatto il bagno nel Mar Morto senza poi spalmare l’idratante… mi portai una mano alla testa, le mie dita rimasero incastrate tra i capelli come fossero un fitto ammasso di paglia…
“Dove sono?”
Lui sollevò le sopracciglia… “Su una barca… nel bel mezzo dell’oceano Atlantico…”
Cercai di muovermi ed uscire dalle coperte… la testa prese a girarmi d’improvviso…
“Io te l’avevo detto di trattenere il respiro...”
Poggiai i piedi a terra ignorando la sua ironia…
“Che mi hai fatto?”
Lui si alzò dalla sedia, aveva addosso abiti puliti e sembrava stare decisamente meglio di me…
“Io niente… ma l’aereo era pieno di gas narcotico...”
Cercai di far quadrare tutti i ricordi e le deduzioni logiche, ma mi arresi ben presto… feci forza sulle braccia per tirarmi su... barcollai vistosamente e lui si avvicinò cercando di afferrarmi… sgranai gli occhi e mi tirai indietro…
“Non mi toccare...”
Lui sorrise di nuovo…
“Ti ho salvato la vita… dovresti essere un po’ più gentile con me…”
“Che ne è stato degli altri passeggeri?”
Lui sollevò le spalle…
Non fu necessario rispondere… spalancai di nuovo gli occhi…
“Oh dio mio li hai uccisi tutti… ucciderai anche me adesso vero? Mi farai a pezzi!”
L’isteria si impossessò di me in un attimo, rendendomi tutta la forza persa…balzai in piedi cercando la prima via di fuga accessibile, il respiro affannato ed il preludio di un lungo pianto negli occhi…
Adocchiai la porta dietro di lui come unica possibile salvezza e decisi di correre verso la maniglia… lui non si mosse nemmeno, bloccando la mia breve fuga con un solo braccio... balzai indietro al contatto e scossi la testa, fermamente decisa a non essere una preda facile… saltai sul letto e passai all’altro lato della stanza, lanciandomi immediatamente contro la porta della cabina… strinsi la mano intorno al metallo, ma prima che potessi fare pressione, la mano di lui si spalmò contro la porta annullando qualsiasi mio tentativo di far forza… provai comunque a tirare con tutta me stessa, arrivando presto alla conclusione che in quel momento le mie risorse erano piuttosto scarse… mandando giù mi voltai verso di lui, trovandomi con la schiena inchiodata all’uscita… avrei voluto intimorirlo con lo sguardo, fargli presente che non aveva rapito la solita ragazzina indifesa, ma non mossi un muscolo né proferii parola… mi teneva premuta contro la porta col suo corpo, senza neanche il bisogno di toccarmi davvero…
Decisi di fare un ultimo tentativo… su quell’aereo l’idea di morire non mi era sembrata tanto male, qualche secondo prima di svenire e poi non avrei sentito più nulla, ora invece, la sola idea di essere torturata, picchiata, fatta a pezzi, forse perfino stuprata… no, non volevo morire così…
Raccolsi tutte le forze e piantai il ginocchio nel basso ventre di lui, non ero certa di aver preso il punto più sensibile, ma tanto era bastato per farlo scansare da me… aprii la porta di fretta e mi precipitai su per la scaletta di legno seguendo la luce, continuando a correre da una parte all’altra del piccolo ponte guardando il monotono blu dell’oceano tutt’attorno… alla fine sbattei contro il parapetto di prua e mi fermai a riprendere fiato guardando le onde… non avevo via d’uscita, nessuna eccetto…
Inspirando strinsi le mani tremolanti attorno al parapetto e mi decisi a scavalcarlo, una gamba alla volta… meglio annegare che soffrire per ore le torture di quel mostro...
“Fossi in te non lo farei…”
Lui mi stava alle spalle, probabilmente già da un po’… la sua voce suonava calma e tranquilla… non mi voltai…
“Perché no? Morirò comunque...”
“Quell’acqua è fredda tesoro, molto fredda… e non dimenticare gli squali… credevo che non volessi finire fatta a pezzi…”
Deglutii continuando a guardare giù…
“Tu cosa mi farai invece?”
“Non ho ancora deciso in realtà…”
Lo sentii avvicinarsi… strinsi le mani attorno al metallo freddo del parapetto… il rumore delle onde poteva già riempirmi le orecchie…
“Scendi da lì adesso…”
Stavolta il suo tono si era fatto autoritario, ma non abbastanza da farmi demordere… lo sentii sbuffare, ormai era dietro di me, se volevo davvero suicidarmi dovevo farlo in quel momento… mossi le dita, ma non riuscii a mollare…
“Ok tesoro, visto che non vuoi proprio starmi a sentire, da adesso in poi faremo a modo mio…”
Mi afferrò per la vita e mi sollevò come fossi fatta d’aria, totalmente indisturbato dai miei tentativi di scalciare, prenderlo a pugni o strillargli nelle orecchie…
Mi buttò di peso sul letto, lasciandomi rimbalzare… cercai di dimenarmi, ma lui mi bloccò col suo peso, stringendomi i polsi sopra la testa… qualcosa si strinse attorno alla mia mano e subito dopo l’assassino sembrò mollare la presa… cercai immediatamente di muovermi di nuovo, ma mi ritrovai incatenata alla spalliera del letto per il polso destro, lui mi stava ancora sopra e dallo sguardo poteva dirsi abbastanza soddisfatto…
Quel mezzo sorriso compiaciuto, i capelli scompigliati per la lotta, i muscoli tesi per restare in bilico su di me senza schiacciarmi… sospirai guardando altrove… doveva esserci qualcosa di molto, molto perverso nel trovare attraente il proprio assassino…
Lui passò la mano sulla mia gamba... mi irrigidii cercando di tenerlo lontano con la mano libera, provando a spingerlo via… era questo che  mi aspettava? Essere violentata su una barca in mezzo al nulla? La mano dell’assassino proseguì lenta, accarezzando la linea del mio ginocchio e poi a salire lungo la coscia… il tocco delicato, le sue dita calde contro la pelle, gli occhi scuri ancora incollati al mio viso… non sembrava la carezza di un mostro... chiusi gli occhi sperando che lui non si muovesse oltre… non ero certa di come il mio corpo avrebbe reagito…
“Adesso almeno starai buona...”
Disse tirandosi su di colpo… si ricompose velocemente e tornò a sedersi sulla sedia all’angolo…
“Come ti chiami?”
Esordì… portai le gambe al petto, lui continuava a fissarmi con i gomiti poggiati alle ginocchia… deglutii…
“Catherine...”
Risposi, cercando il primo nome da dire che non fosse il mio… lui sollevò un sopracciglio…
“Non mentire…” mi ammonì seriamente… inspirai profondamente chiedendomi se fosse il caso di continuare la commedia, probabilmente il suo era solo un bluff…
“Catherine, Catherine Martin...” insistetti e lo sentii sbuffare rumorosamente in risposta… si alzò in piedi e si avvicinò con uno sguardo grave, giocherellando con le sue stesse dita come se si stesse preparando ad usarle… sentii le sue falangi scrocchiare e sussultai nel trovarmelo di nuovo tanto vicino, lui si chinò lentamente e mi passò le dita sulla gola, rendendo chiaro quanto il mio collo sarebbe stato fragile nella sua presa…
“Non… mentire...” precisò ancora una volta… glaciale…
Annuii nervosamente e presi coraggio…
“Françoise, il mio nome è Françoise Arnaul...”  
Lui sorrise allontanandosi…  “Come facevi a sapere?”
Contrassi la mandibola… “Sapere cosa?” chiesi in un mezzo sussurro. Lui sospirò tornando a sedersi…
“Sapevi del braccialetto, sapevi chi sono… come?”
“Io non so chi sei…” replicai istintivamente in difesa… lui chiuse lentamente le palpebre, ripetendo…
“Come facevi a sapere?”
Presi fiato, la mia inferiorità troppo palese per cercare di improvvisare un castello di bugie... e comunque la realtà era già abbastanza ridicola…
“Una mia amica lavora all’American Airlines… è stata lei a dirmi che sul volo ci sarebbe stato un criminale con un braccialetto… mi aveva anche detto di non prenderlo… e avrei fatto meglio ad ascoltarla…”
Lui aguzzò lo sguardo, senza lontanamente cogliere il mio tentativo di ironizzare… forse tentava di capire se stessi mentendo…
“Che ci facevi a Johannesburg?”
Abbassai gli occhi, anche se la mia sopravvivenza era ancora in dubbio, stavolta lo stomaco mi si torse al solo pensiero… tutta colpa di Tyler...
“Ero andata a trovare il mio fidanzato...”
Lui sorrise…
“Sull’aereo hai detto di non avere ragioni per vivere… un fidanzato sembrerebbe una buona ragione invece…”
Tornai a guardarmi le mani…
“L’ho trovato a letto con un’altra” …confessai senza troppi giri di parole.
Lui curvò la schiena per essermi in qualche modo più vicino…
“È per questo che volevi morire? Perché il tuo uomo ti ha tradita?”
Stavolta decisi di sollevare gli occhi ed incontrare i suoi, l’assassino mi stava giudicando… mi stava giudicando una stupida… peccato non sapesse nulla della mia vita…
“Lui è solo l’ultima di una serie di ragioni…”
“Beh…” prese fiato lentamente “…ti consiglio di trovare un buon motivo per vivere allora...”
Avvertii un brivido corrermi lungo la schiena…
“Che… che vuoi dire?”
Lui sollevò le sopracciglia..
“Presto verranno a prendermi e sinceramente…” di nuovo una pausa “…non ho idea di cosa farne di te...”
Deglutii…
“Mi… mi ucciderai?” avrei voluto suonare risoluta e coraggiosa, ma la voce mi tremò come una foglia…
Tenevo il suo sguardo, sperando di leggerci dentro una risposta mentre me ne stavo rannicchiata all’angolo del letto e provavo ad immaginare cosa ne sarebbe stato di me...
Mi si avvicinò… cercai di farmi ancora più piccola, consapevole di avere solo un metro di gioco per via della catena che mi legava al letto… gli occhi dell’assassino mi stavano accarezzando, caldi come il velluto, intensi come nel primo sguardo, quando mi ero concessa di pensare che fosse l’uomo più bello del mondo… adesso invece quello stesso pensiero mi sembrava inaccettabile, ripugnante, dovevo sforzarmi di cacciarlo nell’angolo più remoto della mente… lui poggiò le mani sul materasso e si spostò alla mia altezza, scavando con forza nei miei occhi, tanto intensamente che dovetti abbassare lo sguardo per non sentirmi nuda di fronte a lui...
“No…”
Disse infine con voce bassa…
“Non se mi convincerai a non farlo…”
Tornai a ricambiare istintivamente i suoi occhi, colpita dal tono allusivo delle ultime parole… era così vicino che potevo facilmente notare le poche pagliuzze verdi nel castano delle sue iridi, le piccole rughe d’espressione sulla sua fronte, la linea delle barba che non rasava da giorni ed il rosa perfetto delle sue labbra… cosa mi stava chiedendo? Voleva forse che lo pregassi di non uccidermi? Era quel tipo di criminale? La mia bocca si aprì lievemente per lasciar passare più aria, non era questo che lui sembrava volere… al solo pensiero il cuore prese a battermi in gola, una strana sensazione di calore mi riempì lo stomaco… voleva baciarmi?? Quell’idea suonava assurda date le circostanze eppure pareva alquanto difficile fraintendere la sua espressione, il modo in cui le sue ciglia sbattevano lente mentre i suoi occhi indugiavano tra il mio sguardo confuso e le mie labbra socchiuse…  
Mi sentii paralizzata, ogni muscolo del mio corpo si tese all’istante, incapace di reagire davanti ad un uomo che deteneva il potere completo, un uomo che il mio istinto di sopravvivenza rigettava, al contrario della mia pelle... lo sentii avvicinarsi ulteriormente e tutti i miei pori si aprirono cercando di non lasciarmi andare a fuoco, il viso bloccato all’altezza del suo… lui indugiò per un secondo mischiando il suo respiro al mio… impercettibilmente girò la testa, inclinando il collo appena un po’, le sue labbra sfiorarono la mia pelle, accarezzando la linea del mento...
Chiusi gli occhi al contatto, voltando il capo e stringendo le lenzuola nei pugni… potevo sentire il cuore pulsarmi nelle orecchie, scorrermi dentro la testa come un fiume in piena… avrei voluto saltare e colpirlo, avrei voluto trovare quel tocco rivoltante, ascoltando quella vocina nella mia testa che però andava facendosi sempre più lontana… al suo posto un nuovo e sconosciuto formicolio, il risveglio contemporaneo di tutte le mie cellule...
Ma lui si staccò bruscamente da me...
Balzai sul letto come se mi fossi svegliata da un bel sogno, cercando di calmare il freddo improvviso… l’assassino era in piedi e guardava il vuoto, rendendomi impossibile capire cosa stesse pensando adesso… forse non avevo capito nulla, forse la lussuria non c’entrava, forse lui era solo una specie di psicopatico… finii a fissare le mie mani e sembrai realizzare solo in quel momento le mie condizioni, la pelle tirata, le striature bianche dell’acqua salata, il vestito sporco, i capelli ammatassati… ovvio che nemmeno uno psicopatico potesse volermi in queste condizioni… scossi la testa perché ormai la mia mente stava spaziando nel ridicolo, non solo mi stavo preoccupando di cosa lui pensasse, ma iniziavo a sperare che dopo avermi uccisa avrebbe buttato il mio corpo nell’oceano, almeno nessun altro mi avrebbe vista in quelle condizioni…
Lui riprese a muoversi verso la porta…
“Ti porterò qualcosa da bere…”
Disse con indifferenza, come se il piccolo momento precedente fosse già caduto nel dimenticatoio… lo guardai afferrare la maniglia e mi morsi le labbra…
“Aspetta...”
Lui si fermò sulla soglia… si voltò verso di me senza proferire parola… inspirai profondamente e decisi di tentare la fortuna…
“Potrei… potrei almeno lavarmi per favore?”
Osai chiedere con un filo di voce… lui aggrottò le sopracciglia, forse disorientato dalla mia richiesta banale, forse indeciso sulla risposa da darmi... rimase serio tutto il tempo, anche mentre tornava sui suoi passi, facendosi vicino ancora una volta… sentii l’istinto di raggomitolarmi, probabilmente avevo tirato troppo la corda… lui invece non mi guardò nemmeno mentre, con una piccola chiave, apriva la manetta al mio polso… con un cenno della testa indicò la porta di fronte a quella della stanza...
“Non più di dieci minuti… e non cercare di combinare qualcosa perché potrei arrabbiarmi...”
Annuii massaggiandomi il polso libero, aspettando di vederlo andar via prima di poggiare i piedi a terra e correre verso il minuscolo bagno… chiusi a chiave restando appoggiata alla parete per qualche minuto… la prima cosa che mi tornò alla mente fu la voce di Catherine, ma perché cavolo non l’avevo ascoltata? Sbattei la fronte contro la porta… stupida… stupida fino alla fine Françoise...
Infilandomi velocemente sotto il debole getto della doccia cercai di raggiungere contemporaneamente il maggior numero di parti del mio corpo, di certo non volevo indispettire l’assassino impiegando più del tempo richiesto… ficcai tra i capelli il primo shampoo a portata di mano e cercai di tirar via tutta l’acqua salata, quasi fino a graffiarmi la pelle… chiusi gli occhi e mi lasciai ricoprire completamente dall’acqua bollente, lasciando che lavasse via il sapone, lo shampoo e parte della mia incredulità mista all’incapacità di dare un senso a quella situazione… sentii  di nuovo in bocca il sapore della paura, il gusto metallico del terrore di morire, mischiato all’odore dolciastro dell’aereo… il blu che riempiva la mia vista, ben presto rimpiazzato dal nero e dall’incoscienza… non riuscivo minimamente a ricordare come fossi finita su quella barca, di certo era stato lui a portarmici, ma come? E perché ce ne stavamo nel mezzo dell’oceano senza che nessuno ci trovasse? Doveva essersi occupato di tutto lui… lui… già.. lui… senza rendermene conto passai una mano tra viso e collo, ricercando il punto preciso su cui aveva poggiato le labbra… mi sentii tremare per un istante… avevo creduto davvero che lui stesse per baciarmi, che l’avrebbe fatto più e più volte… avevo creduto davvero che lui mi desiderasse e che mi avrebbe presa lì, in quel momento, senza sapere nulla più che il mio nome… avevo sperato davvero che quella sarebbe stata la mia salvezza…
Riaprendo gli occhi temei di aver perso la cognizione del tempo e chiusi il rubinetto venendo fuori dalla doccia in tutta fretta… afferrai un asciugamano e mi ci arrotolai dentro, di colpo terrorizzata all’idea di uscire di lì…  «No… non se mi convincerai a non farlo...»  Le parole si ripeterono nella mia testa cercando un significato, cercando di ignorare il loro implicito contrario… se non fossi riuscita a convincerlo sarei morta…
Lasciai scattare piano la serratura, convinta che me lo sarei presto trovato di fronte, ma tutto ciò che vidi fu il letto sgualcito dell’altra stanza… calmai il respiro e mi guardai intorno nel silenzio, lui doveva essere di sopra… a destra un’altra porta chiusa attirò la mia attenzione, un rumore insolito simile ad un borbottio sembrava venirne fuori… non avevo idea di come fosse fatta una barca, tantomeno quante stanze potesse avere né cosa dovessero contenere, ma iniziai a sperare che in quella camera chiusa ci fossero armi e telefoni satellitari… nella mia testa reminescenze di vecchi film d’azione presero forma, se fossi riuscita a trovare una pistola, un coltello o un qualsiasi corpo contundente avrei potuto colpire l’assassino a tradimento e metterlo fuori gioco… dopodiché avrei chiesto aiuto o navigato fino alla terraferma… annuii e mossi il primo passo a piedi nudi sul parquet, calibrando ogni piccolo movimento per non fare alcun rumore… la tensione era talmente forte che quasi non riuscivo a respirare…
La maniglia della porta venne giù senza intoppi e mi gettai nella stanza… era caldo lì dentro… il borbottio proveniva da una specie di caldaia o scaldabagno nell’angolo… girai su me stessa nella penombra, alla ricerca di qualsiasi cosa potessi afferrare e scagliare contro il mio rapitore… sulle mensole impolverate se ne stavano diversi oggetti sconosciuti, tutti apparentemente innocui… scuotendo la testa ed imprecando silenziosamente contro la mia solita fortuna, mi inginocchiai ad ispezionare l’ultimo ripiano... inaspettatamente mi sembrò di avere tra le mani la chiave della mia salvezza, una radio, uno di quei radiotrasmettitori vecchio modello in cui basta portarsi alla bocca la trasmittente, premere un pulsante e lanciare un SOS… la poggiai su una mensola alla mia altezza ed iniziai a premere nervosamente i tasti, ora che vedevo una via d’uscita non potevo aspettare neanche un secondo… una piccola lucina rossa si accese e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo… totalmente priva di nozioni sulla radiocomunicazione decisi di girare tutte le manopole e tirar su i cursori poi, tremando e sperando, avvicinai la trasmittente alle labbra, pronta a spingere il pollice sul bottone laterale…
Un fischio stridulo e fastidioso riempì la stanzetta, costringendomi a mollare la presa e balzare in piedi… i miei occhi spalancati si puntarono immediatamente sulla porta, strinsi le mani al petto ed accostai l’asciugamano, pregando con tutta me stessa che lui non avesse sentito… sarebbe stata la fine…
Un colpo secco spalancò la porta, come se l’assassino l’avesse presa a calci per aprirla... Divenni un pezzo di ghiaccio rendendomi conto solo in quel momento, per la prima volta, di chi avessi davvero di fronte… lui era dritto davanti a me, i pugni chiusi e le labbra strette in una linea sottile, i suoi occhi vuoti, il corpo mosso da un tremore generale, come se stesse per venir fuori dalla propria pelle… era arrabbiato… era vistosamente arrabbiato…
Indietreggiai sbattendo ben presto contro il muro… stavo per morire… adesso era certo, stavo per morire…
Lui deglutì rumorosamente muovendosi di un solo passo…
“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare…”

Parte 4


“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare...”
La breve distanza tra noi fu coperta in un secondo… l’afferrai stretta per la vita tappandole la bocca con l’altra mano e la trascinai fuori senza troppa grazia… appena qualche passo e lei rimbalzò di nuovo sul letto, stavolta sbattuta con forza contro il materasso…
Rimasi immobile mentre chiudevo a chiave la porta…
Lo scatto del coltello arrivò amplificato e forte come lo scoppio di una bomba…
Inspirai profondamente fissando lo stiletto stretto nella mia mano… le lame erano la mia arma preferita, lo strumento di morte che avevo scelto alla fine del mio lungo addestramento… ogni volta che tenevo tra le mani un coltello, un pugnale o una katana, potevo sentire il gelo dell’acciaio impossessarsi di me, annullando ogni ombra di sentimento nei confronti della vittima di turno… l’utilizzo delle armi da taglio rendeva il mio lavoro inevitabilmente più lungo, sporco e complicato, ma vi era un innegabile fascino poetico nel poter scegliere come, quanto e cosa infliggere ai nemici, con la piacevole possibilità di guardarli in viso durante tutto il procedimento…
La ragazza tuttavia non era un nemico della mia famiglia, né una vittima prescelta da mio padre, quell’omicidio sarebbe stato un’eccezione al codice, un atto di puro e necessario sadico piacere… sospirai stringendo le dita attorno all’impugnatura, non potevo biasimare nessun altro che me stesso per quella situazione… sentii in bocca il fastidioso sapore di qualcosa simile al rimorso, come sull’aereo… imprecai in silenzio gettandolo via e decisi di voltarmi e guardare la ragazza…
Stava decisamente iperventilando, inginocchiata sul letto stringeva l’asciugamano al petto con entrambe le mani, così stretto che le sue dita si erano fatte rosse di sangue… Sembrava ancora più pallida, eppure aveva il viso colorato dall’ansia e le labbra scarlatte… i suoi lunghi capelli biondi andavano lentamente asciugandosi in ciuffi scomposti, mentre i suoi occhi azzurri mi fissavano, lucidi e spalancati…
“No…”
Sussurrò appena al mio primo passo, inclinai il viso verso di lei con le labbra leggermente protratte in avanti, sul mio volto l’accenno di un ghigno sardonico…
“Cosa dovrei fare adesso con te, eh?”
Dissi, il tono apparentemente impassibile, il mio sopracciglio destro sollevato, come se stessi davvero aspettando una risposta…  
“Dovrei liberarmi di te?”
Un angolo della mia bocca si sollevò in un mezzo sorriso…
“O forse dovrei farti male soltanto un po’?...”
Avanzai di un nuovo passo sollevando la lama, l’acciaio rifletteva la luce del tramonto imminente, spandendo un alone arancione per tutta la stanza…
“…qualcosa che ti ricordi chi è che comanda...”
Ormai ero a pochi centimetri, il coltello puntato verso di lei, così che la punta segnasse una linea immaginaria tra l’impugnatura ed il suo petto, in mezzo alle costole...
Sbattei piano le palpebre, ormai le mie ginocchia toccavano il letto e la ragazza era sempre immobile di fronte a me, come se, ancora una volta, fosse pronta a morire… inspirai l’odore della sua paura e sentii il sangue scorrermi più veloce nelle vene, totalmente combattuto tra la mia natura, l’istinto di uccidere e la voglia immensa, lussuriosa, di spingere la ragazza fino al limite…
Sollevai il coltello senza fretta ed avvicinai la curva della lama al viso di lei, accostando lentamente pelle e metallo… la vidi chiaramente fallire nel tentativo di contenere lo spasmo del suo corpo, stringere le spalle e trattenere il respiro…
“Guardami…”
Lei schiuse le palpebre espirando…
Sorrisi a labbra strette, in quel momento sentirla supplicare sarebbe stata dolce musica per le mie orecchie… solitamente non avrei impiegato così tanto tempo per uccidere qualcuno, ma in questo caso specifico non avevo alcuna urgenza anzi, ogni secondo passato in quel limbo accresceva la mia eccitazione… nel fondo della mia mente la tentazione di prolungare all’infinito quella deliziosa tortura…
Tutta la rabbia era scemata senza che nemmeno me ne rendessi conto e solo in quel momento realizzai che lei mi stava davanti, inginocchiata ed avvolta in nulla più che un asciugamano… le mie pupille scorsero lente lungo la sua figura minuta, accompagnando l’impercettibile carezza con la punta del coltello… l’estremità del metallo, ormai calda del suo tepore corporeo, segnò una linea dritta dalla gola in giù, sbattendo contro la spugna in cui era avvolta…
“Convincimi...”
Chiesi…
“Convincimi a non ucciderti...”
Precisai, la voce bassa e vibrante, la richiesta quasi sussurrata…
Lei sollevò il mento per guardarmi dritto negli occhi…
“Ti prego…”
Iniziò in un filo di voce…
“…ti prego non uccidermi…”
Rimasi saldo nella mia posizione, sollevando appena un sopracciglio… il suo sussurro tremava, tuttavia il tono era deciso… la ragazzina non voleva morire… staccai il coltello dal suo corpo e distesi il braccio, lei era bella, troppo bella, con le guance infiammate da una sorta d’imbarazzo e la presunzione di sembrare più coraggiosa di quanto non fosse…
“Convincimi...”
Insistei... strinsi la presa attorno al coltello ancora una volta, stavolta per cercare di contenermi, e non dal pugnalarla… lei raddrizzò la schiena e si fece più vicina, il respiro le tremava tra le labbra e le sue mani sembravano bollenti… le sollevò lente, chiudendo gli occhi per un secondo, cercando di arrivare a me nel tempo più lungo possibile… mi toccò il viso… sussultai al contatto…
“Ti supplico…”
Ripeté… mi era pericolosamente vicino, ormai riuscivo a sentire il calore del suo corpo e quello del suo respiro…
“…farò tutto quello che vuoi… non uccidermi…”
Sentii tutto il sangue arrivarmi nei pantaloni, ormai l’idea di ucciderla era lontana mille miglia… le sue piccole fragili dita mi stavano toccando, inaspettatamente calde… la sua voce mi stava pregando, dolce come lo zucchero, disperata come il canto di un uccello in gabbia… non potevo più resistere…
“Non è quello che voglio farti…”
Risposi chiudendo lo spazio… la mia bocca si lanciò contro la sua in un bacio tutt’altro che delicato, lei rischiò di perdere l’equilibrio, ma la trattenni premendo il suo corpo contro il mio.
Mi sentii esplodere di aggressiva lussuria non appena le mie labbra l’avevano toccata… erano morbide e sapevano ancora di sale… la volevo, la volevo in quel momento più di ogni altra cosa, ma non potevo permettermi di perdere il controllo, non con un ostaggio pronto a tutto per sopravvivere… sentii la mano di Françoise poggiarsi sul mio petto e mi staccai dal bacio, ancor più eccitato all’idea di riprendere il potere… scossi piano il capo afferrandola per i polsi, tenendoli entrambi serrati in una sola mano, mentre l’altra stringeva ancora il coltello… passai la lama un’ultima volta sulle sue labbra, gonfie ed arrossate per il nostro bacio violento, poi la gettai via in un angolo… ormai non mi serviva più, avrei usato ben altre armi per rimettere la signorina al proprio posto…
Le sollevai i polsi sopra la testa e la baciai di nuovo, cercando di esplorare ogni angolo della sua bocca, quasi fino a toglierle il respiro… l’altra mano ferma sulla coscia della ragazza ed io determinato a non renderle le cose troppo semplici. Il modo in cui lei aveva schiuso le gambe, probabilmente senza neanche accorgersene, era un chiaro segno della sua eccitazione… la ragazzina voleva essere toccata, oh sì… solo che, sorrisi tra me, la ragazzina non aveva ancora pregato abbastanza…
“Vuoi che ti tocchi, non è vero?”
Sussurrai nel suo orecchio… lei si irrigidì, tese le braccia e cercò di scuotere la testa…
“No...”
Rispose, cercando di suonare decisa nonostante la voce bassa… le sfiorai l’orecchio con le labbra…
“Ricordi? Riesco a capire quando stai mentendo...”
Bisbigliando le parole lasciai scivolare le dita sotto l’asciugamano e lei si tese come una corda di violino contro di me... la  mia mano continuò lenta la sua risalita, trovando la propria strada tra le cosce, adesso serrate, della ragazza… non stavo cercando di forzare una via, stavo accarezzando la sua pelle, pregustando il calore che riuscivo già a percepire, aspettando che fosse lei a cedere e spalancare le gambe per me...
“Dillo...”
Ordinai, usando la lingua contro il lobo del suo orecchio…
“Dillo…”
Chiesi di nuovo…
“S..sì…”
Riuscii a malapena a sentirla, ma ero certo di aver capito… riportai la faccia davanti a quella di Françoise, prendendole il viso nella mano, stringendo quel poco che bastava per catturare la sua completa attenzione…
“Dillo come si deve...”
Scandii…
“To..Toccami…”
Disse, incapace di guardarmi negli occhi mentre chiedeva… le sue guance erano in fiamme…
“Ah. Ah. Ah…”
Obiettai, accompagnando le parole con la testa…
“…hai dimenticato qualcosa…”
Quella era l’ultima, l’ultima goccia del mio autocontrollo… il gioco era divertente, ma non sarei riuscito ad aspettare un secondo di più…
“…ti prego…”
Sussurrò guardando a terra… la strinsi, poggiando la testa nell’incavo del suo collo, lì dove riuscivo a sentire il battito accelerato del suo cuore, lì dove nessun sospiro o gemito sarebbe potuto sfuggire alle mie orecchie… poggiando un ginocchio sul letto lo spinsi con decisione tra le gambe della ragazza per obbligarla ad aprirle, la mia mano immediatamente pronta a farsi strada verso la meta…
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Françoise chiuse gli occhi aspettando il contatto, ormai totalmente spogliata del suo falso coraggio e della sua morale. Lui però non la toccò, bensì la spinse giù con forza, lasciandola cadere di schiena sulle lenzuola sgualcite. Scomposta, agitata e tremante, era l’immagine più invitante su cui mai avesse poggiato gli occhi. Ogni donna della sua vita era stata una conquista facile, senza sforzi o attese, ogni amante pronta e disponibile, ognuna di loro disposta a soddisfare le richieste più scellerate per poi sparire, senza rimorsi o sprazzi di dignità.
Ed eccola lì invece, la ragazzina dell’aereo, incerta, spaventata, accaldata, in attesa come una vergine la sua prima notte di nozze. Joe rimase immobile in piedi davanti a lei, gli occhi incollati nei suoi, la voglia di esplodere sotto i vestiti. Non riusciva a muoversi, totalmente perso in quel momento di perfezione, l’attimo in cui sai di aver vinto e puoi già pregustare il sapore della vittoria. Il premio gli stava di fronte e lui avrebbe assaporato ogni secondo prima di stringerlo tra le mani.
Françoise sentì i suoi muscoli perdere forza, come se gli occhi dell’assassino la stessero lentamente consumando. Nessun uomo l’aveva mai guardata in quel modo.. Dio mio.. Sembrava davvero volesse mangiarla. Ed una parte di lei, una minuscola parte di lei, sorrise in un angolo buio della sua mente.
Joe sospirò un’ultima volta prima di avvicinarsi, poggiando le mani sulle ginocchia della ragazza, sollevando il tessuto mentre le accarezzava la pelle. Prese a sbottonarsi i pantaloni, deciso ad interrompere il più presto possibile quella specie di incantesimo, sicuro che una volta svuotato, ogni sorta d’emozione che quella ragazzina suscitava in lui sarebbe sparita.
Si spinse tra le sue gambe, pronto a liberarsi dell’asciugamano, pronto a scaricare su di lei tutta la tensione degli ultimi giorni, in qualche modo determinato a punire anche la ragazza per il suo arresto, per l’aereo, per quella stupida scelta, per la sua vita. Per tutta la sua vita.
Al suono improvviso di passi sul ponte Joe si bloccò immantinente. Premendo una mano sulla bocca di Françoise, affinché non avesse la brillante idea di urlare, tese le orecchie verso il rumore e nel giro di pochi secondi riconobbe il peso ed il ritmo di quei piedi. Françoise lo sentì imprecare il suo disappunto tra i denti e tirarsi su
“Non provare ad urlare. Nessuno è venuto a salvarti, è solo mio fratello.”
Lei si tirò su in un secondo, memore di ciò che lui le aveva detto in precedenza. I suoi fratelli non sarebbero stati contenti di trovarla lì anzi, si sarebbero subito liberati di lei. Prese a guardarsi attorno nervosamente, senza capire se fosse più delusa o sollevata per l’interruzione. Se avesse fatto l’amore con l’assassino, forse poi, lui si sarebbe sentito in colpa ad ucciderla. Ragionamento idiota. Gli assassini non hanno sensi di colpa.
Joe sospirò ancora una volta, avvicinandosi ad un cassettone nell’angolo opposto. Ne tirò fuori un ammasso stropicciato di tessuti e colori.
“Tieni. Mettiti qualcosa. E resta qui.”
Ordinò senza darle troppa attenzione, come se avesse completamente dimenticato la sua presenza… del resto altri pensieri occupavano ora la sua mente, primo fra tutti cosa fare del suo ostaggio… conoscendo Jonah, non si prospettava nulla di buono…
“Aspetta!”
Disse lei… lui sbuffò rivolgendole un’occhiata impaziente… lei sollevò le spalle per un istante…
“Non so nemmeno come ti chiami...”
Precisò a bassa voce, lasciando la domanda implicita… le rivolse finalmente attenzione, sentendo nel petto il peso del suo nome, pieno d’orgoglio come ogni singola volta che gli veniva offerta l’opportunità di pronunciarlo… non era per vanità, ma per rispetto, sempre e comunque fiero di portare  quel cognome… 
“Joe… il mio nome è Joe Shimamura…”
Disse con un lampo negli occhi, sparendo subito dopo… senza aver colto l’ombra di una smorfia di disgusto sul viso di lei… 
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Jonah… saliti i pochi scalini lo vidi di spalle, i capelli chiari mossi dal vento e le mani poggiate sui fianchi… anche guardandolo da dietro riuscivo a vedere il suo perenne sorriso compiaciuto… lui si voltò quasi immediatamente, come previsto due lunghe file di denti bianchi riflettevano la luce della luna sul suo viso da bambino…
“Fratello!”
Esclamò con entusiasmo allargando le braccia, quasi si aspettasse un caldo abbraccio di benvenuto… la sua voce squillante, ancora forte di accento inglese, riecheggiò in mare aperto… digrignai i denti afferrandolo per il colletto della camicia e sbattendolo forte contro la cabina di pilotaggio…
“Stupido idiota! Ti avevo chiesto solo una cosa, una soltanto! Tutto quello che dovevi fare era essere puntuale!”
Jonah non smise di sorridere, sforzandosi di aggrottare le sopracciglia…
“Sono stato puntuale! Voglio dire, lo sarei stato… ero già praticamente per strada quando…”
“Quando cosa Jonah?”
“Smirnov...”
Fu come se un’incudine da mezza tonnellata fosse piombata tra noi...
“Alexei Smirnov?”
“Il solo ed unico! Me lo sono trovato di fronte mentre uscivo dal bar per venire a prenderti…”
Mollai la presa su mio fratello e Jonah si ricompose immediatamente…
“…inutile dirti che ho dovuto sprecare il mio prezioso tempo per ripetergli, ancora una volta, che non abbiamo idea di dove sia finita quella cagna di sua figlia…”
Quello era ovviamente un eufemismo… erano stati necessari cinque uomini, due pistole, nonché una spranga di ferro affinché il russo ed il suo entourage mollassero la presa…
Mi passò una mano sulla faccia, senza alcun bisogno di pronunciare quel nome ad alta voce… Nataljia... Nataljia Smirnova... l’unico grande errore di Jet... il peggiore… la donna in questione era effettivamente la moglie di mio fratello, se non altro legalmente… il loro matrimonio era stato pianificato da nostro padre e Smirnov come una qualsiasi altra transazione di lavoro, il modo perfetto per siglare un’alleanza tra potenti famiglie… purtroppo però Jet non era riuscito a trattenersi, si era innamorato della ragazza, sia stato per i suoi grandi occhi scuri o per la crudeltà pura celata dietro il viso d’angelo… ad ogni modo la stronza aveva deciso di sparire due anni prima, fuggendo nel cuore della notte, senza lasciarsi tracce dietro… ero convinto che mio fratello sapesse più di quanto non volesse ammettere riguardo le ragioni di Nataljia, tuttavia lei non sembrava voler essere trovata e alla fine tutti noi avevamo smesso di cercare… tutti eccetto Alexei… quell’uomo era davvero una spina nel fianco…
“Come faceva a sapere che eravamo a Johannesburg?”
Jonah sollevò le spalle…
“Non ne ho idea… suppongo che ci spii ancora...”
Mi afferrai il mento come se avessi bisogno di riflettere…
“Ed io suppongo che ci sia lui dietro il repentino arrivo degli sbirri…”
Sentii le mani stringersi in due pugni chiusi… maledetto il giorno in cui quell’arpia sovietica aveva varcato la soglia della nostra casa…
Jonah sospirò rumorosamente passando le dita tra i capelli…
“Beh…visto che siamo in tema, Jet ci aspetta!”
Esclamò trillando come un ragazzino, entusiasta al pensiero di passare finalmente un po’ di tempo con i suoi fratelli maggiori… pur sembrando strafottente e vanesio la maggior parte del tempo aveva davvero un gran senso della famiglia, esattamente come ogni altro Shimamura…
“Lui dov’è?”
“Comodamente seduto in elicottero, sulla spiaggia di una deliziosa isoletta deserta qui vicino…”
Sospirai, sentendo lo stomaco smettere di contorcersi per un po’… avevo bisogno di rivedere Jet, una grossa dose della sua imperturbabilità mi avrebbe davvero fatto comodo...
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Frugai tra gli stracci che avevo in mano, individuando una specie di prendisole bordeaux ed un bikini nero… non esattamente i miei colori, ma in mancanza di una boutique e di biancheria intima pulita, sarebbero andati più che bene… portai i vestiti al naso e riconobbi profumo di crema solare e cocco… odoravano di vacanze, pensai, come se fossero stati indossati durante un romantico viaggio alle Hawaii… iniziai a pensare alla donna cui potessero appartenere e lentamente unii i pezzi del puzzle, sommando quell’odore e quei vestiti ai cosmetici che avevo intravisto nel bagno… la barca doveva appartenere a qualcuno, qualcuno che senza dubbio non era Joe Shimamura... lentamente, ma chiaramente, iniziai a tracciare le possibili conclusioni, trovando risposta ai miei precedenti interrogativi… l’assassino aveva rubato la barca, togliendo di mezzo i legittimi proprietari… dopodiché aveva navigato il più lontano possibile dal punto d’impatto dell’aereo… o forse i suoi fratelli l’avevano presa per lui, lasciandola a portata di mano dopo il volo in paracadute… senza dubbio qualcuno ci aveva rimesso la vita…
Il suono distante di una risata mascolina mi riportò alla realtà… sospirai infilandomi velocemente costume ed abitino, poi tesi le orecchie al piano di sopra… non riuscivo a cogliere le parole precise, ma si trattava senza dubbio di una chiacchierata amichevole... quello sarebbe stato il momento migliore per tentare una nuova fuga… peccato che tutt’intorno ci fosse solo acqua e non avessi la minima possibilità di riuscire a nuotare per miglia fino alla terra ferma… ascoltai ancora una risata e mi decisi a muovermi, cercando di spiare il nuovo venuto… suonava contento dopotutto, forse non mi avrebbe uccisa immediatamente…
Presa dall’urgenza di capire almeno che faccia avesse, cercai di sbirciare senza far rumore, sollevando la testa al di sopra della scaletta… sembrava solo un ragazzo, notai, più giovane del «mio assassino» ma dai tratti molto simili... capelli chiari e lisci, occhi castani dal taglio vagamente orientale, pelle rasata, tratti delicati, non fosse stato per le folte sopracciglia ed il sorriso beffardo…
Il ragazzo colse la mia presenza quasi immediatamente, interrompendo l’ultima frase a metà e piantandomi gli occhi addosso come macigni… quello non era certo lo sguardo di un ragazzino innocente… 
Sollevò le ciglia senza distogliere l’attenzione da me…
“Oh Oh Oh!”
Esclamò, come una specie di raccapricciante Santa Klaus… i suoi piedi si mossero verso la scala, i passi intervallati da sguardi divertiti ed ammiccanti verso l’assassino…
“Cosa abbiamo qui?”
Mi afferrò per il vestito e mi obbligò a venir su per gli scalini… mi esaminò dalla testa ai piedi per poi rivolgersi all’altro con un gran sorriso…
“Hai preso un souvenir?”
Lui restò serio…
Il ragazzo sollevò le mani incapace di togliersi l’espressione compiaciuta dalla faccia…
“Tranquillo fratello, non sto giudicando! Lo so che un uomo ha bisogno di tenere le mani occupate in certe situazioni...”
Il suo tono si era fatto allusivo, tornando a guardarmi... trattenni il respiro sentendomi scrutata come sotto ai raggi x… quella era di certo un’abilità che gli Shimamura avevano in comune, ciononostante lo sguardo del più giovane era forse ancor più inquietante… e perverso…
Lui si avvicinò, passandomi due dita tra i capelli, portandosi una ciocca al naso… inspirò profondamente…
“Ha un buon odore…”
Commentò, rivolto al fratello come se  neanche ci fossi... strinsi le labbra e cercai di divincolarmi dalla sua presa…
“E non l’hai ancora domata a quanto vedo...”
Quello ridacchiò al mio tentativo, afferrandomi con forza all’altezza del braccio. Serrò la presa e mi strattonò verso di sé…
“Sta’ buona dolcezza…”
Ordinò, serio di colpo…
Sgranai gli occhi avvertendo la sua mano addosso e le dita che giocherellavano col laccetto del mio bikini…
“Ora basta…”
L’assassino si decise finalmente a parlare… l’altro mollò la presa su di me pur restandomi accanto…    
“Oh Joe…”
Sospirò
“…sempre così restio a condividere! Toglie punti al tuo fascino, sai?”
“Ho detto basta Jonah...”
Il tono ancora fermo, gli occhi puntati sul fratello come un’aquila… l’altro sollevò le mani allontanandosi finalmente da me…
“Come vuoi…”
Sospirò, passando i palmi sul colletto della camicia…
“…ad ogni modo, cosa vuoi farne di lei? Come stavo dicendo poc’anzi Jet attende…”
Divenni di pietra… il momento era arrivato ed un sospiro mi sfuggì dalle labbra… un assassino appassionato di coltelli ed il suo terrificante fratellino stavano decidendo della mia vita, le mie chance di sopravvivere erano praticamente inesistenti…
“Se preferisci me ne occupo io...”
Si offrì «gentilmente» Jonah, pronto a tornare sui suoi passi con espressione del tutto ordinaria…
Lui chiuse i pugni…
“No…”
“Ok, pensaci tu allora...”
“Non la uccideremo…”
Sentenziò… sia io che il fratello gli puntammo gli occhi addosso come se avesse appena detto qualcosa di assurdo…
“Non ancora almeno...”
Si sentì di precisare, rivolgendosi esclusivamente a suo fratello…
“Era sull’aereo… sapeva chi ero e perché mi trovavo lì…”
L’altro arricciò il naso…
“Credi sia una spia? La spia di Smirnov magari?”
Mi morsi il labbro per non parlare… non avevo idea del perché l’assassino stesse mentendo, o se davvero fosse convinto di quello che stava dicendo, ma se ciò voleva dire restare in vita ancora un giorno, certo non avrei commesso l’errore di proclamarmi del tutto innocente…
Joe sollevò le spalle, serio ed impassibile…
“Non lo so ancora… la ragazzina non è stata molto disponibile al dialogo, ma sono convinto che presto canterà...”
Jonah non trattenne il sorriso…
“Conoscendo i tuoi modi fratello, non ho dubbi!”
Digrignando i denti, prese a sfregarsi le mani…
“Bene…in tal caso prendi pure il tuo nuovo cucciolo e andiamocene… tutta questa umidità mi rovina i capelli...”
Il più giovane saltò giù dalla barca con agilità, senza nemmeno barcollare, mentre tornava alle redini del motoscafo che l’aveva portato fin lì…
Io e Joe ci guardammo di nuovo senza dir nulla… davvero credeva che fossi una spia? O aveva qualche altra incomprensibile ragione per portarmi con sé? Lui abbassò gli occhi per primo.
“Muoviti Joe! Non abbiamo tutta la notte!”
Indicò al di là del parapetto con un rapido cenno della mano…
“Avanti…”
Schiusi le labbra senza emettere suoni… avrei potuto chiedergli di lasciarmi lì, ma a che scopo?
Guardai davanti a me e strinsi il metallo tra le dita mentre scivolavo sull’altra imbarcazione… così vicina all’acqua, completamente avvolta dall’oscurità e dai suoi rumori, strinsi le braccia al petto… Joe mi fu subito dietro, mollando poi la cima che teneva lo scafo legato alla barca… si sedette accanto a me, ma non mi guardò più, per tutto il tempo di quel viaggio…

Parte 5


“Eccoci qui fratello! Come vedi, contrariamente alle tue supposizioni, sono perfettamente capace di portare a termine un compito...”
Jet non mosse gli occhi dal bersaglio mentre il più giovane dei miei fratelli prendeva posto sull’elicottero… le sue labbra pronunciarono una risposta, ma il resto del suo viso non si mosse nemmeno…
“Trovi sempre il modo di stupirmi Jonah...”
Rimase immobile con le braccia incrociate sul petto, seguendo i nostri movimenti…
Io stavo ricambiando i suoi occhi in modo serio, ma coscienti entrambi che dietro quelle maschere stavamo sorridendo… avrei volentieri abbracciato Jet, se non avessi avuto l’urgenza di trovare una scusa per il mio «bagaglio a mano»…
“Devo essermi perso qualcosa Joe…”
Esordì, lasciando le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo rivolto alla ragazza…
Sollevai gli angoli della bocca…
“Grazie per il trucco dell’aereo fratello…”
Jet rimase impassibile…
“Hai detto Volo con l’Aquila, il che indicava gli Stati Uniti… e non è stato difficile cogliere il tuo sottile riferimento alla libertà, vedi statua della libertà, vedi New York… da lì in poi non ho dovuto fare altro che un paio di telefonate…”
Prese fiato…
“…e adesso…”
Inclinò lentamente la testa a sinistra…
“…potresti gentilmente spiegarmi l’inaspettata presenza di quest’esausta, senza dubbio incantevole, ma sconosciuta giovane donna?”  
Le lanciai un’occhiata veloce…
“Era sull’aereo…”
Esordii... Jet sollevò un sopracciglio…
“E tu l’hai presa?”
“Io non l’avevo mai vista prima, ma lei sapeva chi sono… sospetto sia una spia...”
Jet tornò a guardare la ragazza…
“Spia?”
Sospirai…
“Esatto… ho sentito che il tuo amato suocero era a Johannesburg e quindi ho fatto due più due…”
Jet inspirò profondamente, non lasciando trasparire alcuno dei suoi pensieri…
“Una spia di Alexei quindi…”
Stavolta si mise ad osservare la ragazza con più attenzione, tracciando due lenti passi verso di lei… Françoise cercò di guardare altrove… Jet curvò la schiena verso di lei, avvicinando il viso alla sua persona, quasi volesse sentirne l’odore, quasi potesse riconoscere la Russia dal suo profumo… alzò la mano destra, afferrando delicatamente il mento di lei tra pollice ed indice, sollevando il suo sguardo senza alcuna fretta…
“E dimmi…”
Iniziò, gettando i suoi occhi azzurri in quelli di Françoise…
“…questa dolce creatura ha anche una voce? Come ti chiami?”
La vidi annaspare nell’aria per qualche secondo…
“Françoise…”
Jet mosse piano le dita dal suo mento alla sua gola, sfiorando dolcemente il punto preciso in cui il sangue pulsava freneticamente sotto la pelle…
“Non credo che sia una spia…”
Si rivolse a me interrompendo ogni contatto, fisico o visivo, con Françoise...
“Sei sicuro? Come faceva a sapere allora?”
Jet si mosse verso l’elicottero…
“Non lo so… chiedilo a lei, dopodiché sbarazzatene…”
“Mi ci vorranno tempo e mezzi fratello...”
Jet si bloccò sui suoi passi, voltandosi in un unico, fluido movimento…
“Questo implica forse il fatto che vorresti portarla con noi?”
“Voglio solo arrivare in fondo alla questione…”
Jet si avvicinò a me, stavolta rigido e serio…
“Stai quindi sottintendendo che vorresti portare una completa insignificante sconosciuta a casa nostra?”
La sua voce sottolineò le ultime parole, implicando l’assurdità del solo pensiero…
Strinsi i pugni…
“Me ne occuperò io…”
Jet sollevò le spalle tornando a voltarsi…
“Occupatene ora…”
Alzai il tono di voce…
“E da quando sei tu che dai gli ordini fratello?”
Jet emise una specie di sospiro, il suono della sua esasperazione…
“Non lo so fratello… forse da quando ho dovuto tirarti fuori dai guai per l’ennesima volta? Sono stanco di ripulire i tuoi casini…”
“I tuoi casini vorrai dire… se fossi stato in grado di tenerti tua moglie tutto questo non sarebbe successo…”
Jet piombò su di me, rapido ed incombente, come se volesse spaccarmi la faccia a suon di pugni… non si mosse più una volta davanti al mio viso, gli occhi stretti in due fessure come se potesse cavarmi l’anima dalle orbite…
Rimasi immobile, improvvisamente stavo davvero desiderando di picchiare mio fratello, non sapevo nemmeno bene perché…
Jonah saltò giù dall’elicottero con agilità e ci raggiunse…
“Dateci un taglio…”
Ordinò con noncuranza, richiamando l’attenzione di Jet…
“La ragazza gli piace ok?...” sorrise divertito  “…lasciagliela portare, tanto sappiamo bene che se ne sarà già stancato tra un paio di giorni…”
Jet mi guardò di nuovo, nessun segno di emozioni sul suo viso…
“Molto bene…”
Esordì riprendendo la sua postura composta…
“…andiamo via da qui...”
Stavo sorridendo per la prima volta dopo giorni interi… amavo i miei fratelli, il solo tipo di amore che conoscevo e che mi era permesso… la famiglia prima di tutto, la nostra unica grande regola, le parole che in ogni momento riecheggiavano nella mia testa… il grande orgoglio e peso dell’essere uno Shimamura… mentre Jonah raccontava della spogliarellista olandese che aveva legato al suo letto qualche sera prima, guardai Françoise con la coda dell’occhio… se ne stava rannicchiata con le braccia strette al petto, gli occhi fissi al suolo… forse l’elicottero le dava la nausea… forse era stremata… forse si era semplicemente arresa… voltai la testa per osservarla meglio… sperai che non fosse questo, che la ragazzina dell’aereo non avesse già ceduto… mi piaceva la sua grinta, il modo in cui mi combatteva, cercando di respingermi e tenermi lontano… volevo che mi combattesse… volevo che mi respingesse…
Atterrammo su quello che doveva essere il tetto di un edificio…
Jet consegnò le chiavi dell’apparecchio ad uno sconosciuto, quest’ultimo, occhiali da sole e giacca nera, pronto a sparire nello stesso cielo da cui eravamo arrivati… Jonah stirò le braccia con una specie di sbadiglio…
“Avrei di gran lunga preferito andare subito a casa… sai com’è.. Jacuzzi, champagne, massaggiatrici cinesi…”
Jet passò le mani sulla giacca del suo completo blu, incredibilmente perfetta anche dopo il volo…
“A tempo debito Jonah...”
Rispose, i suoi occhi chiaramente diretti verso la ragazza… la spinsi più forte verso la scala di servizio, sempre mantenendo il silenzio… doveva essere un palazzo abbandonato, forse una specie di hotel in disuso, almeno a giudicare dal gran numero di porte e dai cartelli verdi che segnavano ogni piano con una grande cifra bianca e le indicazioni per l’uscita di sicurezza… arrivati al numero 3 la trascinai attraverso la porta, lungo un corridoio con la moquette blu…
Aprii per lei una delle tante stanze anonime e la guidai dentro, sempre senza dire una parola… la camera era piuttosto piccola, con la stessa moquette blu e la tappezzeria beige alle pareti… il poco mobilio sembrava essere lì dagli anni settanta, anche se le lenzuola bianche sul letto erano brillanti e pulite…
La porta si aprì di nuovo ed entrarono anche i miei fratelli…
Jonah si piazzò in faccia il solito sorrisetto, indicando il letto con un cenno della mano…
“Direi che qui hai tutto quello che ti serve Joe...”
Sospirai scuotendo appena la testa, Jet si avvicinò di nuovo alla ragazza, porgendole una bottiglietta d’acqua comparsa dal nulla…
“Ho immaginato che potessi essere assetata…”
Lei allungò la mano per accettare l’offerta, ma le tolsi la bibita dalle dita prima ancora che potesse afferrarla davvero…
Inclinai la testa verso mio fratello maggiore…
“Bel tentativo Jet...”
Gli ci era voluto un secondo di troppo per capire, anche se la natura di quell’offerta era più che ovvia… Jet aveva avvelenato l’acqua, impaziente all’idea di liberarsi della mia ragazza dell’aereo… mia… ma perché continuavo a pensarla mia? Sollevai un sopracciglio rivolto a mio fratello, il mio sguardo diceva chiaramente che avrei deciso io come e quando liberarmi dell’ostaggio… Jet non mosse un solo muscolo del viso, mi dette le spalle e prese la porta… dietro di lui Jonah ridacchiava ancora tra sé e sé…
“Buon divertimento!”
Qualche secondo perché il rumore dei loro passi nel corridoio svanisse e poi il silenzio piombò nuovamente sovrano nella stanza…
“Quindi è questo che vuoi? Lasciarmi morire di fame e di sete?”
La guardai immediatamente, come se solo in quel momento prendessi piena coscienza della sua presenza… svuotai la bottiglietta nel lavandino del minuscolo bagno annesso e tornai da lei…
“Mai… non bere o mangiare mai qualcosa che provenga dalle mani di Jet...”
Lei mi guardò per un secondo cercando di dar senso a quel comando… mi mossi verso la porta…
“Ha la tendenza ad avvelenare le persone…”
Françoise abbassò gli occhi senza rispondere nulla…
“Ti porterò io qualcosa da bere e da mangiare…”
Aggiunsi… uscii dalla stanza chiudendomi la porta dietro le spalle… lo scatto della chiave nella serratura secco e netto…
Quando, un po’ di tempo dopo, riaprii la porta lei era immobile nella stessa posizione di quando l’avevo lasciata, voltando solo la testa per avere la non necessaria conferma che fossi io... le porsi una bottiglia e lei l’afferrò senza bisogno di inviti, portandosela immediatamente alle labbra…
Rimasi lì a guardarla, totalmente assorta in quel gesto naturale, ignorando le gocce che sfuggivano alle sue labbra colando giù lungo il collo, bagnando il vestito troppo grande che aveva addosso… beveva come se quella fosse la sua ultima possibilità, come se non avesse mai assaggiato nulla di più buono… ed io me ne stavo lì, incapace di distogliere lo sguardo, assorbito dalla sua aura… la ragazza aveva qualcosa, una sorta di strano potere, l’abilità di mutare davanti ai miei occhi, un momento terrorizzata e un momento dopo splendente, forte, come se nulla potesse toccarla…
Si fermò per respirare, chiudendo gli occhi per un attimo…
“Sai che non sono una spia…”
Esordì…
“…perché mi hai portata qui?”
Fissai la parete davanti a me…
“Perché mi hai salvata dall’aereo?”
La seconda domanda pronunciata con meno decisione…
“Non lo so...”
Risposi, sorpreso dalla mia stessa onestà… ovviamente non potevo dirle che lei mi piaceva, tanto meno che, in qualche incomprensibile modo contorto, sentivo di averne bisogno… la ragazza dell’aereo era bella, coraggiosa… normale… inspirai dandole le spalle dopo aver poggiato un sacchetto del take-away sul comodino… naturalmente, dopo aver saputo il suo nome, avevo scovato ogni possibile fonte alla ricerca di informazioni sulla ragazza… ventidue anni, nata nei sobborghi di New York, una vita del tutto ordinaria fino a sei anni prima… entrambi i genitori morti in un incidente d’auto, era andata a vivere in Alaska con sua zia… ora viveva di nuovo a New York da due anni, pagando l’affitto di un bilocale a Chinatown con un lavoro da cameriera di caffetteria… una donna comune, una boccata d’aria fresca nella mia vita disordinata e solitaria… tutto quello che non avevo e non avrei mai potuto avere…
Non potevo dirle che mi piaceva guardarla, immaginandola dietro un bancone a servire caffè o sdraiata sul divano davanti alla tv… o nuda sotto la doccia… o stesa su un tavolo con me sopra… no, non potevo…
Lei continuò…
“Cosa siete quindi… mafiosi? Killer su commissione? Stupratori?”
Tornai a guardarla, sul mio viso un accenno di sorriso…
“Due su tre, tesoro…”
Aggrottò le sopracciglia… mi mossi lentamente verso di lei, coprendola a poco a poco con la mia ombra…
“Quali?”
Chiese… sorrisi beffardo, di nuovo calato nella mia veste…
“Uccido le persone… e mi piace anche…”
La vidi trasalire…
“Ma quando si tratta di donne…”
Presi a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi…
“…di certo le preferisco consenzienti… e vive…”
Lei si sforzò di prendere un respiro profondo, cercando di indietreggiare il più possibile senza arrivare a sdraiarsi sul letto…
“Io posso anche essere viva, ma non sarò consenziente...”
 Il ghigno sul mio viso si aprì completamente…
“Confesso che avevo avuto tutt’altra impressione…”
Sussurrai… davanti ai miei occhi ancora chiara l’immagine di lei, calda e tremante, pronta ad essere presa…
Sollevò il mento…
“Stavo solo cercando di salvarmi la vita…”
Inclinai la testa, indugiando un paio di secondi prima di poggiare un ginocchio sul letto e prendere posto accanto a lei…  
“Stai mentendo…”
La sicurezza stampata sul mio viso obbligò Françoise a guardare il soffitto… mi feci più vicino, assorbendo ogni minimo dettaglio del suo volto, cercando conferma ai miei pensieri in ogni più piccolo movimento dei suoi lineamenti…
“Tu mi vuoi…”
Lei riprese immediatamente contatto con i miei occhi…
“Dal primo momento in cui ci siamo incrociati sull’aereo...”
Aggiunsi, senza mai interrompere il nostro contatto di sguardi… le pupille della ragazza si dilatarono di colpo, dimostrazione che avevo colto nel segno… avrei voluto sorridere, congratularmi con il mio ego, ma preferii continuare a fissarla, scavandole dentro, ormai troppo perso per risalire rapidamente a galla…
Lei allungò le mani sul mio torace, spingendomi via…
“Sta’ lontano da me…”
Mi lasciai guidare, per nulla segnato dal suo rifiuto anzi, quella era probabilmente la parte che preferivo, il piacere agrodolce del sentirsi negare ciò che si desidera... il rigetto presupponeva, infatti, che avrei goduto il doppio nell’ottenerlo...
Mi alzai in piedi, avvicinandomi lento alla finestra, sbirciando il mondo tra le sbarre, tanto simili a quelle di una prigione…
“Èpiuttosto difficile capirti ragazzina...”
Silenzio…
“Un attimo sembra che tu non abbia ragioni per vivere, che la tua stessa esistenza non abbia per te alcuna importanza… e l’attimo dopo sei pronta a tirar fuori gli artigli e graffiare…”
Sorrisi tra me…
“…non che non mi piacerebbe sentire le tue unghie conficcarsi nella mia schiena…”
Lei balzò in piedi…
“È solo questo che vuoi, giusto?”
Mi voltai, genuinamente spiazzato…
“Bene…”
Mosse due passi decisi verso di me, afferrando decisa l’orlo del suo prendisole, pronta a sfilarselo senza troppa grazia…
“Avanti…”
Continuò, buttandolo a terra con forza…
“Fa’ ciò che vuoi…”
Riprese fiato a stento
“…togliamoci il pensiero…”
Avvertii ogni sfumatura di rabbia ed acidità nella sua voce, sentendomi colpito per la prima volta… mi presi il tempo di guardarla ancora una volta dalla testa ai piedi, apprezzando ogni centimetro scoperto della sua pelle candida… stavamo bruciando entrambi in quella piccola stanza, lei di collera ed io di… desiderio? Inspirai profondamente, cercando di capire cosa mi bloccasse dal prenderla, sbatterla al muro e farle rimangiare quell’impeto di sfacciataggine… me ne stetti lì, immobile, ad aspettare che Françoise per prima divenisse cenere… le mie mani ed i miei piedi avrebbero voluto muoversi per conto loro, ma qualcosa dentro mi tenne inchiodato al pavimento, qualcosa che uno come me, totalmente sconosciuto ai sentimenti e alle emozioni, non riusciva a decifrare…
“Lo stai facendo di nuovo…”
Riuscii infine a parlare, ricomponendo a fatica il mio autocontrollo, completamente focalizzato sui soli occhi della ragazza…
“Come se nulla avesse importanza…”
In quel momento la ragazzina dell’aereo era come una moneta, un moneta che gira veloce su se stessa, mostrando ininterrottamente le sue due facce ed io ero quello che stava a guardare, cercando di resistere all’urgenza di bloccarla e scoprire quale fosse il suo vero volto… qualcosa in quella donna mi stava incantando contro la mia volontà… dovevo fare in modo che smettesse…
Fu lei per prima a mollare lo sguardo, cercando invano di sprofondare nel pavimento… raccolsi l’abito bordeaux e glielo porsi...
“È ora che tu prenda una decisione…”
Lei afferrò piano il tessuto...
“…Vuoi vivere o vuoi morire?”
Con un sospiro sarcastico si rivestì…
“Come se fossi io a decidere...”
La catturai con un’occhiata seria, bloccandola a metà del suo gesto…
“Certamente sei tu a decidere… siamo noi i soli artefici del nostro destino…”
Mi avvicinai nuovamente alla finestra, svuotato dei pensieri lussuriosi di poco prima… seguii il profilo delle nuvole sopra New Orleans…
“Cosa faresti se adesso aprissi quella porta e ti lasciassi andare?”
Dissi impassibile…
“Dove andresti? Cosa cambieresti se riavessi la tua vita?”
Aggiunsi a voce bassa, come se stessi parlando con un interlocutore immaginario piuttosto che con lei…
“Londra…”
Rispose tornando a sedersi sul bordo del letto…
“Avrei sempre voluto andarci…”
Mi voltai a guardarla, un nuovo e diverso luccichio nei suoi occhi…
“Gran bella città… artistica… eccentrica… affascinante…”
“Ci sei stato?”
La domanda le sfuggì dalle labbra spontanea, come se la nostra fosse diventata una semplice conversazione. Sollevai un angolo della bocca in un mezzo sorriso…
“Non credo ci sia a questo mondo un posto dove non sono ancora stato…”
Ed era vero… dall’Europa all’Australia… dai deserti del Nord Africa a quelli del Medio Oriente… dalle stravaganze giapponesi agli intensi profumi di Cuba…
La suoneria trillante del mio telefono interruppe quell’attimo di silenzio… le voltai le spalle e mi portai il cellulare all’orecchio…
“Padre...”
Risposi, quell’unica parola pronunciata tra le labbra quasi fosse tagliente… il mio interlocutore parlò senza bisogno di risposte per una buona manciata di secondi…
“Bene…”
Fu l’unica altra cosa che dissi prima di chiudere la comunicazione… guardai di sfuggita Françoise come se la sua presenza avesse perso improvvisamente d’interesse… mi avviai verso la porta in silenzio… me ne stavo andando senza dire niente…
“Mi lasci qui?”
Una domanda pronunciata con un brivido d’agitazione… le rivolsi un ultimo sguardo, la mia mente era già ampiamente fuori da quella stanza e da quell’edificio…
“Ho delle cose da fare…”
Lei sospirò…
“Non voglio stare qui… chiusa in questo buco ad aspettare di morire…”
Sollevai un sopracciglio…
“Cosa vorresti? Che ti portassi con me?”
Il tono a metà tra il divertito e l’assurdità…
“Tu sei solo un ostaggio… una prigioniera… una preda…”
Indugiai sulla soglia, stringendo la maniglia con tutta la mia forza…
“E credimi… se hai già paura di me, allora mio padre è davvero l’ultima persona al mondo che vorresti incontrare…”
Conclusi prima di sparire sbattendomi la porta dietro le spalle…

Parte 6

Il cancello della villa si aprì con il solito fischio… il viale proseguiva su per la collina in curve lente e sinuose… le palme sventolavano piano, lasciando intravedere il grande edificio in cima alla strada… casa, così avrebbe dovuto chiamarsi…
Respirai una lunga boccata d’aria, l’umidità del Mississippi mi era già addosso… lasciai scorrere gli occhi sui muri color mattone, interrotti dalle grandi finestre bianche in stile vagamente inglese, completamente fuori dall’impronta europea di New Orleans… al primo piano la grande balconata in ferro battuto era già coperta di fiori e foglie verdi, mentre il colonnato bianco del portico risplendeva al sole, candido e pulito come sempre…
Mia madre avrebbe adorato quella casa, se solo avesse potuto godersela per un po’…
Il suono dei miei passi sul parquet scuro rimbombò nel grande soggiorno vuoto… nessun segno del passaggio di Jonah e Jet…
Facendomi coraggio, proseguii per il lungo corridoio fino alla porta chiusa dello studio... Affrontare mio padre era quella parte di vita che non avrei mai rimpianto se fossi rimasto chiuso in una cella per il resto dei miei giorni… potevo già sentire il suono acido, intriso di superiorità, della sua voce… sbattei piano le nocche contro il legno…
“Avanti…”
Varcai la soglia fissando il pavimento, cercando di ritardare al massimo il momento in cui il caro papà mi avrebbe puntato gli occhi addosso, con chiaro e palese disappunto…
“Vieni avanti Joe…”
Ed eccolo lì… Jack Shimamura III, comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle, seminascosto dietro la scrivania in mogano… la giacca nera rispecchiava il suo solito umore, mentre la barba, lasciata lunga, ma perfettamente curata, copriva a metà il ghigno sul suo viso…
“Felice di riaverti a casa figliolo…”
Sarcastico… era solo sarcastico… strinsi i pugni cercando di frenare la lingua, quel trattamento mi era riservato dal giorno della nascita, ormai avrei dovuto esserci abituato… il Signor Shimamura era tutto fuorché un padre amorevole…
Dopo aver ereditato il nome ed il business di famiglia, si era concentrato esclusivamente su quest’ultimo, tentando di ampliare gli orizzonti del loro potere… le origini della casata erano da ricercare in Giappone mischiatesi pian piano alle altre differenti branche della malavita del nuovo mondo…
L’originale Jack Shimamura, se questo era stato il suo vero nome, aveva messo piede sul suolo americano all’alba del primo conflitto mondiale, approfittando della confusione generale per piantare il seme della loro famiglia… inizialmente il piccolo impero criminale aveva raccolto il disappunto di poveri ed analfabeti, dedicati per lo più a rapine ed estorsioni, ma col passare degli anni le tecniche erano state affinate, ed il loro bacino d’azione largamente ampliato…
Oggi Jack Shimamura III teneva le redini di un’intera organizzazione, traendo profitti non solo dai più comuni illeciti, ma per lo più dal riciclaggio di denaro, dal contrabbando, dal gioco d’azzardo e dal traffico di sostanze… non vi era settore in cui non avesse ficcato le mani almeno una volta… anni di scontri ed alleanze l’avevano infine portato a vantare la più grande rete di collaborazione criminale mondiale…
Ciò non vuol dire che non avesse nemici…
Aveva molti nemici…
La grande furbizia ed intelligenza di questo piccolo uomo stava tutta nel non sporcarsi mai le mani in prima persona… c’era sempre qualcun altro che poteva fare il lavoro sporco al suo posto, affiliati, mercenari, corrotti, professionisti del crimine, i suoi figli… già, i suoi quattro bei ragazzi, i quattro soldati meglio addestrati…
Ognuno di noi era stato cresciuto con questo scopo, perfezionato nelle proprie personali inclinazioni, a servizio della famiglia…
“C’è già tuo fratello a marcire in galera…”
Riprese…
“…un altro Shimamura dietro le sbarre sarebbe stato a dir poco inopportuno...”
Gracchiando quelle parole, si sollevò dalla poltrona e raggiunse il mobile bar per versare due dita di Scotch nei bicchieri…
“…qualcuno potrebbe pensare che i miei figli non siano degni di portare il mio nome…”
Lui… era lui il primo e forse l’unico a pensarlo…
Cercai con tutte le mie forze di frenare i nervi, buttando giù in un solo sorso l’alcool che mio padre mi aveva offerto… dovevo solo far finta di non sentire… dovevo solo fingere… D’altra parte quel discorso aveva già raggiunto le mie orecchie milioni di volte, replicandosi e ripetendosi con toni e parole ogni volta diversi… non sarei mai stato abbastanza, non per il giudizio del grande Jack Shimamura III…
C’era una ragione dopotutto, una valida ragione perché lui mi odiasse, ed un’altra altrettanto buona per non avere alcuna considerazione del proprio primogenito… mio fratello maggiore era rinchiuso in una prigione di massima sicurezza in Giappone e mio padre non aveva ancora mosso un dito per liberarlo…
Troppo debole… troppo sensibile… troppo amato… così lo considerava…
Sin dal momento in cui aveva sposato mia madre, Jack aveva deciso che il loro primo figlio sarebbe stato null’altro che un passo obbligato… è nella natura delle donne infatti amare la loro prima creatura con un’intensità senza controllo, che non lascia spazio al dovere e alla disciplina… tuttavia, troppo amore rende questi figli deboli, fragili, in altre parole inutilizzabili… Jack sapeva che sua moglie non avrebbe mai rinunciato al suo primo cucciolo e così glielo aveva lasciato, facendo finta che nemmeno esistesse… tutto il suo interesse ed i suoi progetti si erano riversati direttamente su Jet...  poca sorpresa che fosse il suo soldato migliore…
“È stato Smirnov a far saltare il piano…”
Replicai come dato di fatto, senza la minima intenzione di giustificarmi… non c’era spazio per le giustificazioni in quello studio…
Mio padre mi sventolò la mano davanti alla faccia, come se cercasse di scacciare le mie parole…
“Alexei non è il problema…”
Si voltò di spalle e tornò alla sua scrivania, poggiando i palmi sul legno scuro… trattenni il fiato, spingendo tutta l’energia nei muscoli tesi…
“…tu sei il problema…”
Aggiunse Jack, voltandosi in un movimento fluido e mostrandomi il suo mezzo sorriso…
“La tua incapacità mi è costata parecchie migliaia di dollari figliolo… senza contare lo smacco al buon nome della famiglia…”
Si portò il bicchiere alla bocca, bagnando appena le labbra nel liquido ambrato, spendendo una buona manciata dei suoi preziosi secondi assaporandone l’aroma complesso…
“…ma del resto lo sai, non dovresti nemmeno portarlo il mio cognome…”
Concluse con voce pacata, come se avesse espresso il più naturale e scontato dei pensieri…
Strinsi il pugno attorno al bicchiere, talmente forte da aspettarmi una pioggia di vetri sul parquet da un momento all’altro… quanto avrei voluto spaccarglielo in fronte…
“Vattene adesso…”
Trattenni a stento l’istinto omicida, quello stesso che Jack aveva coltivato in me con tanta devozione… nella mia mente potevo già godere la vista delle interiora di mio padre spalmate per la stanza… girai i tacchi senza proferire sillaba…
“Ah, figliolo?”
Figliolo… di’ quella parola ancora una volta e giuro che ti sbudello, maledetto bastardo…
Gli tesi solo l’orecchio, perché se mi fossi voltato, davvero avrei rischiato di perdere il controllo…
“Non andare troppo lontano… se Mick non paga i suoi debiti entro lunedì, avrai un lavoro da fare…”
Meno male… avrei avuto qualcuno su cui scaricare la rabbia… Mick non avrebbe mai pagato ed io mi sarei sfogato facendolo a pezzi… dovevo solo resistere fino a lunedì…
No… non sarei mai riuscito a trattenermi tanto…
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Ero seduta sul letto, rimirando le briciole del panino che avevo divorato poco prima… il mio corpo stava ancora ringraziando…
La porta della stanza si aprì di colpo, sbattuta con violenza alle spalle dell’assassino…
Joe aveva gli occhi annebbiati, i capelli scompigliati e l’espressione sconvolta…
Balzai in piedi, spalancando gli occhi di fronte a tanta rabbia malcelata… ogni millimetro della sua persona trasudava collera, cattiveria, violenza…
Indietreggiai di un passo, valutando l’idea di dire qualcosa…
Lui mi fu addosso prima che potessi parlare, afferrandomi per le spalle e sbattendomi al muro… rimbalzai contro la parete fredda, incapace di opporre resistenza a quell’attacco inaspettato… le iridi scure di Joe erano sparite, totalmente fagocitate dalle pupille dilatate, frutto dell’alcool in cui aveva cercato di annegarsi…
Il suo peso mi inchiodò contro l’intonaco, mentre le sue mani tiravano su il vestito senza alcuna cerimonia… usando i piedi mi obbligò ad aprire le gambe, emettendo una specie di grugnito al mio tentativo di resistenza… premette l’avambraccio contro la mia gola, forzandomi al muro mentre lui, con la mano libera, slacciava la cintura…
Presi a dimenarmi, stringendo le unghie attorno al braccio che mi impediva il respiro, facendolo sanguinare, cercando disperatamente di strapparlo via… l’accenno di umanità che avevo intravisto sembrava sparito, sepolto dietro una furia senza volto…
Afferrandomi ancora una volta con decisione, mi spinse sul materasso…
“No… ti prego no…”
Ignorando completamente la richiesta si buttò sopra di me, per nulla disturbato dai miei pugni sulla schiena…
Tirai indietro la testa, cercando di evitare la sua bocca… con un movimento deciso di bacino aveva preso posto tra le mie gambe, strusciandosi con violenza contro di me...
Cercai di respingerlo ancora una volta, provando in ogni modo a farmi sentire… tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu una lunga scia di no, alcuni urlati, altri appena sussurrati…
Riuscii infina a portare le mani al petto dell’assassino e spinsi più forte che potei… il peso di lui oscillò appena… chiudendo gli occhi portai i palmi alle sue spalle e lo chiusi in una specie di abbraccio stonato…
“Ti prego fermati Joe...”
Lui sembrò paralizzarsi di colpo…
Sospirai… le parole erano uscite da sole una dietro l’altra… la scelta di chiamarlo Joe spinta dalla naturale ed istintiva necessità di abbattere qualche barriera in un momento rubato, ma comunque intimo…
Joe riprese parte del controllo, rimase nella sua posizione di comando, spingendo tutta la sua virilità contro di me, rendendo ben chiaro che il momento non era sfuggito… sollevando una mano, strinse il mio viso tra le dita e mi guardò dritta negli occhi…
“Se non mi lasci fare questo, ho paura che potrei farti male davvero…”
Ripresi fiato, scrutando quegli occhi velati… parte della rabbia era scemata, lasciando spazio ad una luce scura, più difficile da decifrare… era come se il suo fosse un bisogno, non fisico, ma spirituale…
Mossi le dita e sentii i suoi muscoli contratti sotto i polpastrelli… non c’era fibra in lui che non fosse tormentata…
In questo eravamo più simili che mai…
Sbattei le palpebre lentamente, portando piano le mani fino al suo polso…
“Non così…”
Sospirai, spingendo delicatamente via la mano che mi teneva il viso…
“…solo non così…”
Ripetei, mentre lui piantava i gomiti ai lati della mia testa, lasciando che fossimo faccia a faccia…
Mi morsi piano il labbro, sentendo che qualcosa stava iniziando a muoversi anche dentro di me… feci forza sugli addominali e mi tirai su, abbastanza da sfiorare le labbra dell’assassino con le mie, stavolta in un gesto lento e delicato… il sapore deciso della sua bocca non mi sembrò più tanto spiacevole…
Lui ripeté il mio gesto ed io risposi al bacio, muovendomi ad un ritmo pacato, riportando piano la schiena sulla coperta, trascinandolo giù con me...
L’assassino affondò nella mia bocca ed io spinsi impercettibilmente sulle sue spalle attirandolo a me, perdendomi in un bacio morbido e caldo, finalmente degno di quel nome…
Lui lasciò scorrere la mano sul mio collo, sulle spalle e poi sul seno, passando delicatamente il pollice sulla parte più sensibile… risposi con un leggero colpo di reni, sorpresa quanto lui della facilità con cui il mio corpo sembrava rispondergli… mi staccai dal bacio per riprendere aria ed infilai le dita sotto la maglietta dell’assassino, svelando una pelle liscia e calda, avvolta su muscoli forti e contratti…
L’azione aumentò presto di ritmo, trovando la mano di Joe sul mio stomaco scoperto, scosso da brevi respiri affannosi… il movimento continuò inesorabile, fin quando le sue dita riuscirono ad infilarsi sotto i confini del bikini… sussultai, quel contatto inaspettatamente piacevole, come se lo avessi atteso da tempo…
Inarcai la schiena schiudendo le labbra… avrei dovuto odiarlo, ma non potevo non ammettere a me stessa che nessuno mai mi aveva toccata in quel modo… avevo dentro solo le sue dita e già mi sentivo sul punto di esplodere…  
Lo sentii muoversi, spostando il peso del corpo su un solo ginocchio… l’inconfondibile rumore della zip riempì quel secondo di silenzio… rimasi a guardarlo, persa ancora una volta nello strazio dei suoi occhi… gli accarezzai piano il viso, buttando giù un altro mattone dall’enorme muro tra noi… lo sentii spostare il costume con la punta delle dita ed entrare in me… chiusi gli occhi, stringendo d’istinto i muscoli…
“Apri gli occhi…”
Mi riprese lui, con voce bassa, ma decisa… forse aveva bisogno di guardarmi in quel momento, bisogno di capire dai miei occhi se lo stessi odiando, se lo avrei respinto, se avessi immaginato o desiderato di essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che lì, sotto di lui…
Quella consapevolezza spezzò la dolce stasi del nostro avvicinamento… l’assassino allontanò da sé le mie mani e le immobilizzò al materasso con le sue sopra, facendo forza sulle ginocchia per aumentare il ritmo delle sue spinte… nascose il viso nell’incavo del mio collo ed io chiusi di nuovo gli occhi, godendo allo stesso tempo del contatto dei nostri corpi e dei suoi gemiti di piacere, ovattati dalla posizione, ma chiari e continui, come una sorta di sensuale canzone a far da sottofondo…
Lui mi strinse alla vita, attirandomi a sé, rendendo quel contatto il più profondo possibile… si tirò su per guardarmi ancora, osservando le mie reazioni ad ogni spinta…
Incapace di contenersi ancora, premette tutto se stesso dentro di me, congelando ogni altro movimento…
Io ero rimasta immobile insieme a lui, con le palpebre ancora calate e le mani tremanti, casualmente poggiate sui fianchi dell’uomo che mi aveva appena posseduta…
Quello era un momento eterno… da lì in poi tutto sarebbe stato nuovamente un casino…
Joe rotolò piano accanto a me, tirando contemporaneamente giù la maglia e su la zip dei jeans… sentii lo stesso immediato bisogno di coprirmi, già convinta che non avrei pronunciato parola… se avessi detto qualcosa, qualsiasi cosa, l’imbarazzo, la vergogna e forse il rimorso, mi avrebbero assalita, facendomi desiderare di sparire all’istante…
Lui tornò in piedi, sistemando con nonchalance i propri vestiti…
Mi strinsi nelle braccia, cercando di farmi piccola piccola... i miei muscoli interni stavano ancora cercando di riadattarsi al vuoto, mentre provavo a riordinare le idee… il pensiero di aver fatto l’amore con lui…. o meglio, sesso con lui, mi faceva sentire violata, più in disputa con me stessa che con l’assassino… d’altra parte ero stata proprio io a cedere, a farmi prendere senza resistenze… il fatto che Joe avesse abbassato la guardia, che si fosse comportato più come un uomo che come un carceriere, quello poteva essere un vantaggio per me, giusto? O probabilmente voleva dire tutto il contrario… forse, ottenuto ciò che voleva, non avrebbe più avuto ragioni per tenermi in vita…
Quando Joe si voltò nella mia direzione, il suo sguardo indecifrabile mi provocò un brivido improvviso…
Alzai piano gli occhi…
“Mi ucciderai adesso?”
Domandai in un sussurro... lui parve colpito, addirittura quasi ferito per un secondo… sollevò le sopracciglia…
“Credi davvero che io sia un tale mostro?”
Rispose, restituendomi il punto di domanda… abbassai lo sguardo, prendendomi il tempo di pensarci davvero…
“Io…”
Iniziai incerta, quasi in imbarazzo a quel punto…
“…io non so cosa pensare…”
Masticai le mie stesse labbra…
“Se non vuoi uccidermi… allora perché non mi lasci andare a casa?”
Joe sospirò avvicinandosi di nuovo, sedendosi piano sul letto, accanto a me, ma stavolta ad una distanza ragionevole…
“Non posso lasciarti andare… sai troppe cose di me, della mia famiglia, di quello che faccio…”
“Non dirò niente…”
Lui sorrise…
Restò lì in silenzio, senza bisogno di ribadire il suo no… riempii i polmoni fino all’orlo, guardando in qualsiasi direzione tranne la sua…
“Io non capisco… mi hai salvata… più di una volta, ma…perché?”
Gli occhi di Joe me li sentivo addosso, a differenza di me l’assassino non sembrava affatto a disagio anzi, pareva che a stento riuscisse a trattenersi dal sorridere… non che avesse problemi di autostima, quello era chiaro...
“Io…”
Trattenni il labbro superiore tra i denti, valutando se fosse il caso di pronunciare ad alta voce quella scemenza…
“…io ti piaccio?”
Stavolta lui sorrise davvero…
“Sono uno Shimamura… a noi non piacciono le persone… noi non amiamo… e non teniamo a nessuno… i sentimenti sono solo debolezze...”
Mentre parlava il suo sorriso era scomparso, rimpiazzato da una maschera fredda…
Non hai tutti i torti pensai, ma decisi di tenere la bocca ben serrata… mi ero già resa abbastanza ridicola con l’ultima domanda… annuii in silenzio tornando a fissare il nulla…
Joe si tirò su, cercando qualcosa di interessante al di là delle inferriate…
“Sei bella…”
Esordì senza muoversi…
“…sei forte… hai l’aspetto di un angelo… piaceresti a qualsiasi uomo…”
Concluse, senza dare alla sua voce alcun tono particolare, nulla che potesse far trasparire i suoi pensieri…
Sollevai piano il viso, sorpresa ed indecisa… ero il tipo di ragazza che snobba i complimenti gratuiti, ma quelle poche parole erano riuscite a sfiorarmi, del tutto inattese ed inopportune… gli angoli della mia bocca si sollevarono in un sorriso solamente accennato..
“Grazie…”
Risposi, la voce appena percettibile…
Lui si mosse verso la porta della stanza, ma questa gli si aprì contro prima che arrivasse alla soglia…
Jonah sporse la testa col suo caratteristico sorriso stampato in volto… il pullover blue navy ne sottolineava il contrasto tra pelle chiara e capelli scuri, abbinandosi perfettamente alla finitura cromata della mazza da baseball che stringeva nella mano destra…
Si guardò intorno…
“Ammetto di essere deluso… speravo di interrompere una scena ben più interessante…”
Mi lanciò un’occhiata…
“…tipo lei nuda e tu…”
Guardò suo fratello per un secondo… arricciò il naso ed emise un chiaro segno di disgusto…
“No… tutto sommato meglio così…”
Joe roteò gli occhi al soffitto
“Cosa vuoi Jonah?”
Lui giocherellò con la mazza, passandola da una mano all’altra…
“Come avrai intuito, ho interrotto il mio allenamento settimanale per venirti a prendere…”
“Perché?”
“Indovina chi è arrivato in città?”
Joe divenne la personificazione della concentrazione…
“Smirnov...”
Rispose… più un’affermazione che una domanda… Jonah prese a fissarmi, mentre esponeva la questione…
“La notizia della tua sfortunata dipartita si è sparsa in fretta e pare che il vecchio muoia dalla voglia di offrire le sue personali condoglianze al nostro affranto papi…”
“Non verrebbe mai qui… non per questo…”
Il più giovane riportò gli occhi su Joe…
“Lo so…”
Mosse qualche passo nella stanza prima di riprendere…
“Date le sfortunate circostanze, potrebbe sembrare che la scomparsa di Nataljia e la tua morte rendano pari le nostre famiglie… personalmente però, credo che un trattato di pace sia l’ultimo punto al suo ordine del giorno, direttamente sotto «massacrarci tutti» e «far tornare di moda il colbacco»...”
Joe sospirò, palesemente esasperato…
“Quindi?”
“Se ne occuperà il caro papi… noi ce ne andiamo… veloci come la luce…”
Joe annuì…
Mi guardò… ero rimasta in silenzio per tutto il tempo…
“Bene…”
Aggiunse, pronto a seguire suo fratello in capo al mondo… Jonah si schiarì la voce indicandomi con un gesto della testa…
“Che ne facciamo della tua bambolina?”
Joe non mi guardò neanche…
“Lasciamola qui...”
Spalancai gli occhi… morire di stenti in un vecchio palazzo abbandonato?
Jonah aggrottò le sopracciglia…
“Davvero Joe? Ci metterà almeno una settimana a morire… e non è divertente se non possiamo stare qui a guardare!”
Balzai in piedi d’istinto, nel petto il rumore netto di un’esplosione… per qualche assurda ragione stavo davvero aspettando che lui dicesse qualcosa… Joe restò di spalle, senza pronunciare alcun suono…
Jonah si mosse invece verso di me... sollevò un sopracciglio…
“Di certo è un peccato…”
Esitò per un secondo, mostrando un’espressione vagamente simile alla pietà… sparì immediatamente…
“…ma togliamoci il pensiero!”
Concluse sollevando la mazza sopra la testa per caricare il colpo… spalancai la bocca per urlare, ma nulla ne venne fuori… istintivamente mi coprii il viso con le braccia cercando di indietreggiare… Dio…. avrebbe davvero fatto male…
“Aspetta...”
Eccola… finalmente la voce dell’assassino… Jonah bloccò il gesto a mezz’aria, voltando la testa con indifferenza…
“Cosa?”
Joe dovette girarsi e guardare… mi lasciai cadere sul letto, visibilmente sul punto di svenire o vomitare…
Jonah sfoderò un sorrisetto sardonico…
“Ma non mi dire! ...è davvero così brava a letto?”
Joe scosse la testa…
“Non puoi farlo qui…”
Spiegò…
“…l’ultima volta Carmen ha impiegato tre giorni per togliere il sangue dalla moquette… e credimi Jonah, l’ultima cosa che potrei sopportare adesso è il suo fastidiosissimo accento spagnolo nelle orecchie…”
Jonah corrugò la fronte…
“Sono d’accordo…”
Concluse tirando giù l’arma…
“Dove allora?”
“La portiamo all’appartamento… devo comunque fermarmi a prendere un paio di cose…”
Jonah ridacchiò afferrandomi per il polso…
Joe attraversò la porta per primo…

Parte 7

 

Avevamo raggiunto il centro della città in macchina… adesso era chiaro anche a me che ci trovavamo a New Orleans, ero riuscita facilmente a riconoscerla, benché fossi premuta all’angolo del sedile posteriore della berlina scura, il più lontano possibile dal sorrisetto psicotico di Jonah…
Scesi in una via qualsiasi, Joe aveva abbandonato l’auto per primo…
Dopo una breve camminata per la strada deserta ci trovammo faccia a faccia con un anonimo palazzo di mattoni rossicci… al primo piano l’insegna spenta indicava la presenza di un jazz bar, il Candy Bar… appeso alla vetrina dondolava un cartello rosso con la grande scritta CLOSED in bianco…
Joe spinse comunque sulla porta e questa gli si aprì davanti senza resistenze… entrò tranquillo e spigliato come fosse a casa sua… Jonah lo seguì in silenzio strattonandomi e tenendomi la mano libera premuta sulla bocca…
Non appena la porta si richiuse con un breve ticchettio metallico, una voce di uomo ci accolse da lontano…
“Siamo chiusi!”
Joe sembrò non farci nemmeno caso, raggiunse il retro del lungo bancone in legno e si versò un’abbondante dose di bourbon...
Dal retro del locale venne fuori questo tizio, lo stesso che aveva parlato poco prima… era un ragazzo piuttosto alto, dal fisico scolpito e dalla pelle ambrata, probabilmente frutto di una benedetta unione genetica tra bianco e nero…
“Hey, ho detto che siamo…”
Il suo sguardo torvo si sciolse in un sorriso…
“Joe!”
L’assassino ricambiò l’espressione, abbandonando il bicchiere per raggiungere il ragazzo... scambiarono una specie di stretta segreta da confraternita, concludendo con un amichevole reciproca pacca sulla spalla…
“Si vociferava che avessi tirato le cuoia amico!”
“Così si dice…”
Il ragazzo sbottonò velocemente il bottone più alto della sua camicia bianca e si abbassò per tirar fuori una bottiglia dalla dispensa…
“L’occasione merita qualcosa di speciale...”
Allineando sul bancone tre piccoli bicchieri di vetro da shot, rivolse finalmente l’attenzione a noi altri due... sollevò la bottiglia a mo’ di saluto, accompagnando il gesto con un cenno della testa..
“Jonah…”
Riempì i bicchierini e posò i suoi grandi occhi scuri su di me…
“…uno anche per la vostra ospite?”
Il giovane Shimamura avvicinò la bocca al mio orecchio sinistro…
“Che ne dici tesoro, vuoi farti un goccetto prima del tuo ultimo desiderio?”
Non potevo rispondere perché il palmo di lui era ancora saldamente spalmato sulla mia faccia… mi limitai a guardarlo, stavolta più con sdegno che non paura…
Jonah ridacchiò prima di spingermi con forza all’angolo della stanza accanto al bancone… Mi puntò l’indice dritto in viso…
“Se provi a muoverti o a strillare ti farò soffrire il doppio...”
Abbassai gli occhi senza rispondere, massaggiando la spalla che aveva sbattuto contro il muro a mattoncini… Joe mi lanciò un’occhiata veloce…
Mandarono giù un altro paio di shots lodando, di tanto in tanto, l’amabilità del liquore invecchiato ben trentacinque anni… il barista spostò qualche bottiglia dalla mensola più alta ed aprì una specie di cassettino nel muro, fermamente serrato… ne svelò il contenuto porgendo a Joe due chiavi attaccate ad un cerchietto di metallo…
“Eccoti le chiavi dell’appartamento… lo troverai esattamente come l’hai lasciato…”
Joe le strinse nella mano con un mezzo sorriso…
“Grazie...”
Ero rimasta nell’angolo ad osservare la scena in silenzio, lasciandomi distrarre per qualche secondo dall’atmosfera del posto… le mura in pietra naturale circondavano la piccola sala in parquet lucido, il soffitto aveva la volta a botte ed il grande lampadario di cristalli al centro, tocco elegante benché azzardato, illuminava i piccoli tavoli di legno… all’altro capo della stanza c’era poi il palco, con sopra due sgabelli con l’imbottitura rossa e qualche bottiglia vuota abbandonata… non potei non immaginare un’improvvisata jam session, il suono sinuoso dei sassofoni e l’intensa puzza di sigari e fumo…
“Muoviti bambolina…”
Jonah mi afferrò per il braccio, riportandomi alla realtà con un brivido di freddo… ancora una volta Joe guidò la marcia tenendosi avanti a noi, attraversando il retro del locale fino ad aprire la stretta porta in fondo che dava su una rampa di scale… salimmo almeno trenta gradini nella polvere prima di arrivare al grosso portone in cima… l’assassino sbloccò le due serrature con le chiavi che gli aveva dato il barista ed entrò, aspettandoci al di là della soglia…
L’ambiente all’interno era diverso da ciò che mi sarei aspettata, di certo completamente in antitesi all’apparenza trasandata del palazzo e all’atmosfera jazz del bar al piano di sotto… l’entrata apriva infatti su un salotto con i divani bianchi dallo stile moderno, il tutto ovattato dalla semioscurità…
“Casa dolce casa, eh?”
Esordì Jonah spingendomi dentro ed accomodandosi su uno dei cuscini… Joe richiuse a chiave la porta…
“Non metterti troppo comodo, siamo solo di passaggio...”
L’altro sospirò incrociando i piedi sul tavolino…
“Esatto… prendi le armi, uccidi la ragazza, fuggi più veloce della luce…”
L’assassino sparì dietro una delle porte, lasciandomi in piedi al centro della stanza, vittima delle fantasie sadiche di Jonah... me ne stavo lì, senza muovermi, non avevo più detto una parola da quando avevamo lasciato il vecchio hotel…
“Che succede bambolina? Non vuoi nemmeno provare a pregarmi un po’?”
Mi strinsi nelle braccia…
“Servirebbe a qualcosa?”
Lui sfoderò un ghigno compiaciuto… se non fosse stato per la crudeltà che emanava da ogni poro, lo si sarebbe davvero potuto definire un gran bel ragazzo…
“Intelligente… ottima qualità… sopravvalutata nelle donne comunque…”
Ecco, se non fosse stato per la crudeltà e per l’ostentato presuntuoso maschilismo congenito… non trattenni un chiaro suono di disgusto… Jonah allora aggrottò le sopracciglia e lasciò la sua comoda posizione per venirmi vicino… strinse gli occhi come se mi stesse scrutando a fondo…
“Dimmi… com’è che riservi i modi da gattina in calore solo a mio fratello?”
Incrociai i suoi occhi scuri e deglutii, tirandomi indietro di un passo… nello stesso momento Joe riapparve con una specie di valigia in mano, interrompendo sul nascere l’indagine dell’altro Shimamura…
L’assassino aprì la valigetta e guardò con ammirazione i due pugnali che vi riposavano dentro, avvolti nel velluto blu… uno era più lungo, dalla lama affusolata ed appuntita, l’altro più piccolo, con la lama tonda e l’impugnatura in pelle nera…
“Qualcosa di più pratico magari?”
Jonah gli era già vicino… Joe rimase a fissare le due armi…
“Tu puoi prendere una delle pistole…”
L’altro annuì soddisfatto e si mosse verso il mobile alla sua destra, aprendo un cassetto e scoprendo una ricca collezione di semiautomatiche… le scorse tutte passando sul metallo con la punta delle dita ed infine optò per la Desert Eagle…
Calibrò il peso della pistola nella mano e, dopo aver fatto scattare la sicura, la puntò dritta verso di me... divenni una statua di marmo…
“Ora puoi andare Jonah...”
Ancora una volta la voce provvidenziale di Joe... l’altro ruotò la testa verso il fratello…
“Prego?”
Joe se ne stava di spalle alla scena, passando delicatamente la pelle di daino sui suoi pugnali…
“L’auto ha bisogno del pieno… vuoi pensarci tu?”
Aggiunse con tono distaccato… Jonah strinse le labbra in una linea sottile, spostando velocemente il tono del suo umore da euforico a irritato…
“Ma fai sul serio?”
Finalmente Joe interruppe la sua mansione e si voltò, serio ed impassibile… Jonah abbassò il braccio ed alzò il tono della voce…
“Sei davvero rimbecillito fratello? Guardala…”
Sollevò di nuovo la pistola per indicarmi
“…è solo una troietta qualsiasi!”
Joe sbatté le palpebre lentamente, avanzando a lunghi passi verso Jonah…
“Lasciaci… fratello…”
Scandì una volta arrivato a pochi centimetri dal suo consanguineo… Jonah, in risposta, gli lanciò una chiara occhiata di sfida… adesso, ufficialmente, moriva dalla voglia di uccidermi… mi guardò con la coda dell’occhio per un paio di secondi…
“Non mi fido di lei…”
Joe espirò rumorosamente, tornando sui suoi passi per afferrare uno dei pugnali, quello dalla lama lunga ed affusolata…
“Ci penso io… tu torna a prendermi tra quindici minuti…”
Jonah lasciò cadere gli occhi sulla lama…
“Bene…”
Concluse, sollevando il golf blu per piantare la pistola dietro l’orlo dei pantaloni… di nuovo mi guardò…
“…ma quando torno voglio vedere il suo sangue… molto sangue…”
Precisò e prese la porta…
Joe scosse il capo in silenzio, perso nei suoi pensieri per qualche secondo… sollevò piano il coltello e sospirò, rivolgendomi finalmente gli occhi... Io, vicina al muro, azzerai immediatamente l’impulso di ringraziarlo… le mie pupille si persero, accecate dal riflesso della luce sulla lama…
L’assassino sembrò guardarsi brevemente intorno, poi mosse il primo passo verso di me... riempii i polmoni, sentendo che dietro di me non vi era altro che la parete… incontrai gli occhi di lui…
“Avrei preferito la pistola…”
Sarcasmo… inappropriato, agitato sarcasmo… le parole mi uscirono di getto, spaventata e allo stesso irritata all’idea di dover essere necessariamente fatta a pezzi…
Lui sfoderò un sorriso a labbra strette, altrettanto fuori luogo…
Poggiai i palmi alla parete e mossi in fretta gli occhi, cercando di individuare qualsiasi porta, uscita o arma disponibile nel mio campo visivo… mi gettai velocemente verso destra, ma lui non ne sembrò sorpreso… Joe mi seguì con lo sguardo e si avvicinò ancora un po’, trovando evidentemente divertenti i miei tentativi di fuga…
Mi morsi le labbra per riuscire a trattenermi dall’immensa voglia di chiedere cosa cavolo avesse da ridere… di nuovo mi mossi di scatto, infilandomi dietro la prima porta disponibile… la sbattei forte cercando immediatamente la chiave da girare, ma non la trovai… sollevando gli occhi al cielo decisi di spalmarmi contro la porta e utilizzare la mia misera mole per tenerlo fuori…
“Perché vuoi rendere le cose più difficili?”
Lo sentii chiedere dall’altra parte, la sua voce lontana, come se non avesse ancora lasciato il soggiorno… spinsi la schiena contro il legno e mi guardai attorno… che stanza era quella? Non troppo grande, una sola piccola finestra chiusa, lunghe pareti completamente occupate da librerie, file e file di volumi perfettamente ordinati, due poltrone ed un tavolino da fumo per terminare l’arredamento…
L’assassino amava leggere, a quanto pare…
Sospirai di fronte all’inevitabile realtà, non c’erano mobili che potessi spostare per bloccare l’entrata… lentamente mi scostai dalla porta e raggiunsi il centro della stanza… in altre circostanze avrei adorato poter passare il dito su quella lunga serie di copertine, apprezzando l’odore di carta e cultura… non ero mai stata una grande studentessa, tuttavia c’erano storie che avevo letto e mai dimenticato… tragedie per lo più…
La maniglia si abbassò piano ed io ruotai adagio verso la soglia… Joe mi comparve dinanzi senza fretta, tenendo tra le mani il pugnale e qualcos’altro, una specie di groviglio di corda e… socchiusi le palpebre per mettere meglio a fuoco, corda e nastro adesivo, spesso e scuro…
Bene… ha in mente di legarmi prima…
Lui lasciò cadere a terra il rotolo di nastro e prese a far scorrere la corda tra le dita…
“Non ho mai detto che il coltello fosse per te…”
Precisò, usando la lama per tagliare la giusta misura di fune… sollevai gli occhi nei suoi, ancora una volta incerta su cosa stesse per succedermi… istintivamente indietreggiai, finendo per inciampare in una delle poltrone… maldestramente ripresi l’equilibrio e mossi lo sguardo per capire quale fosse la mia posizione…
“Mettiti pure comoda…”
Aggiunse lui facendosi più vicino… la sua voce ed il suo viso non lasciavano trasparire umana emozione…
Rimasi in piedi…
“Siediti…”
Insistette Joe… chiaramente non era un invito di cortesia…
Mandai giù il magone che avevo in gola, ma rimasi con gli occhi incollati ai suoi per tutto il tempo, cercando la poltrona dietro di me... sentendo la pelle fredda della seduta dietro i polpacci, cercai i braccioli con la punta delle dita e lentamente, molto lentamente, mi accomodai.
Joe sembrò annuire… a piccoli passi raggiunse la seduta e poggiò il pugnale sul tavolo…
Non potei non fissare la lama abbandonata sul legno… 
“Non.. non vuoi uccidermi?”
Domandai… lui strinse più forte la corda che aveva in mano, la sua espressione si fece ancor più scura…
“Voglio…”
Rispose tornando a guardarmi…
“Voglio davvero ucciderti… probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno…”
Strinsi la presa attorno ai braccioli, attraversata dal freddo della sua voce composta… lui si pose dritto davanti a me, incombente come un lupo di fronte alla preda…
“Ma c’è qualcosa…”
Abbassò lo sguardo su di me…
“…qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo…”
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Jonah si spinse in strada sbuffando, ormai il suo umore e la sua giornata erano ufficialmente rovinati… stupido Joe… un idiota rincoglionito succube dei suoi ormoni impazziti… ok, a scanso di equivoci anche lui era solito apprezzare le belle donne, ma questo era decisamente troppo… per gli Shimamura le donne non sono altro che un corpo caldo da riempire e rivoltare, questa è una regola… una regola… non bastava Jet a sbavare dietro quella stronza di una russa? Adesso doveva cominciare anche lui? E per chi poi? Per una bionda qualunque piovuta dal cielo?
Scosse la testa… il nuovo passatempo di suo fratello gli dava decisamente sui nervi… la ragazza aveva il viso d’angelo e di certo s’impegnava al massimo per sembrare una fragile creatura indifesa, ma l’idea che sotto sotto nascondesse qualcosa continuava a serpeggiare nella mente di Jonah... il modo in cui lei aveva risposto al suo sguardo quando erano da soli… lo sdegno che non aveva minimamente nascosto mentre Joe non guardava… il velo d’arroganza nei suoi grandi occhioni azzurri... mh… doveva essere tolta di mezzo, il prima possibile…
Uno scricchiolio improvviso lo rimise sull’attenti… Jonah si irrigidì in mezzo alla strada, guardando rapidamente a destra e sinistra… nulla… assolutamente nulla… raggiunse inconsapevolmente il calcio della pistola con la mano, tutti i suoi sensi allertati dalla netta sensazione di essere osservato… scrutò a fondo i dintorni, ma non colse segno percettibile di presenza umana…
Quel silenzio pastoso non prometteva nulla di buono… meglio sparire in fretta…
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“Voglio davvero ucciderti… probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno… ma c’è qualcosa… qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo…”
Sentii netta la tensione che risaliva dalla punta dei piedi fino ai capelli… lui era vicino a me, rischiosamente vicino… il doppio pericolo di quella situazione riempiva l’ormai minimo spazio tra noi... all’assassino sarebbe bastato allungare le mani per immobilizzarmi o, peggio, strangolarmi con la sua corda… a me sarebbe bastato allungare le mani per toccarlo ancora una volta, prospettiva per me ancor più terrificante… il ricordo del suo peso addosso era ancora ben chiaro, spalmato sulla mia pelle come una specie di elisir stupefacente… ero attratta dal mio assassino, attratta dal nemico… peccato mortale…
Decisi di spezzare il tutto…
“Quale…”
Scivolai appena sulla poltrona…
“…quale ragione?”
Domandai sottovoce…
Joe inspirò profondamente, curvando piano la schiena fintanto che i nostri occhi furono alla stessa altezza… poggiò i palmi sui braccioli, ad un millimetro dalle mie mani…
“I tuoi occhi…”
Rispose, penetrando adagio nelle mie pupille dilatate dall’agitazione e dall’onda d’emozione improvvisa… avrei voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riuscii…
“Non solo il colore…”
Riprese lui, scrutandomi con impegno…
“…hanno qualcosa… è come se stessero per rompersi.”
Sussultai appena…
“Rompersi?”
Sussurrai… di certo aveva scelto un termine piuttosto insolito per descrivere gli occhi di qualcuno…
Joe inclinò appena la testa…
“Come se avessi qualcosa dentro che preme per uscire… come se fossi costantemente sul punto di esplodere…”
Sbattei più volte le palpebre, cercando di cancellare qualsiasi cosa lui stesse leggendo sulle mie cornee… tanta minuziosa attenzione mi rendeva nervosa, ma allo stesso tempo accarezzava la parte più presuntuosa e seduttiva della mia psiche…
“Che cosa vedi?”
Joe sollevò appena l’angolo destro delle sue labbra…
“Riconosco l’infelicità quando me la trovo davanti, ma non è solo questo…”
Si spinse ancor più vicino, lasciando nulla più che una manciata di centimetri tra i nostri nasi…
“…dimmi Françoise Arnaul… qual è il tuo mistero?”
Socchiusi le labbra, il suo calore e la scia del suo respiro lento mi arrivavano addosso…
“Se te lo dico poi vorrai uccidermi davvero...”
Joe sollevò il sopracciglio…
“Qual è il tuo piano allora…”
Si leccò le labbra arrivando a pochi millimetri da me…
“…preferisci restare mia prigioniera per tutta la vita?”
Non dissi nulla, ma strinsi i braccioli con tutta la forza, respingendo l’urgenza di baciare quella bocca… se fosse stato l’assassino a cedere per primo bene, avrei potuto incolpare lui e le circostanze ancora una volta, ma io no, io non potevo arrendermi…
Lasciando in vita quel bacio sospeso Joe spostò le mani sulle mie e si lasciò cadere piano sulle ginocchia… il suo viso adesso era più lontano, ma le sue dita erano pronte a riprendere il controllo della situazione… lasciò girare la corda attorno al mio polso sinistro e strinse, spegnendo sul nascere il mio tentativo di ribellione… lentamente raggiunse anche l’altro polso e lo legò assieme al primo, così che non potessi più muovermi…
Strattonai la corda cercando di produrre una qualche parola di senso compiuto… la mia gola era completamente asciutta e nulla più ne venne fuori che una specie di infantile lallazione… conoscevo fin troppo bene quello sguardo negli occhi dell’assassino…
Lui poggiò le mani sulle mie ginocchia e le lasciò scivolare giù, fino alle caviglie… risalì poi lento e, con un gesto secco, mi obbligò ad aprire le gambe, trovando posto in quel nuovo spazio… le sue labbra si posarono subito sulla mia coscia destra, all’altezza della piega con il ginocchio, lasciando una lunga serie di umidi baci…
Chiusi gli occhi sentendolo risalire verso il centro… il mio centro già in fiamme… avrei dovuto scacciarlo, stringere e scalciare, ma l’eccitazione di quel momento stava sconvolgendo ogni mio pensiero razionale… mi lasciai sfuggire un suono a metà tra sospiro e gemito… ancora una volta, meglio questo che farsi uccidere, giusto?
Una specie di tonfo sordo proveniente dal piano di sotto interruppe la magia… l’assassino si ritrasse e si tirò su di colpo cercando nell’orologio appeso alla parete un qualche punto di riferimento temporale…
Aggrottò le sopracciglia e mi lanciò un’occhiata...
“Tu resta qui…”
Raccomandò tornando alla sua espressione e freddezza di sempre… uscì dalla stanza e si sbatté la porta dietro… lo scatto della serratura mi obbligò a corrugare la fronte e balzare in piedi… afferrai la maniglia con qualche difficoltà, ma trovai la porta irrimediabilmente chiusa… ma dove cavolo era la chiave quando serviva a me?
Ancora una volta mi ritrovai con la schiena contro l’infisso e sospirai… stavo per farlo… di nuovo… sesso con l’assassino… quella storia doveva finire, il prima possibile… dovevo trovare il modo di venirne fuori…
Sollevando lo sguardo trovai risposta alle mie preghiere… nella fretta Joe aveva dimenticato il suo pugnale sul tavolino… sospirando, per una volta di sollievo, mi precipitai verso il mobile, più che pronta ad utilizzare la lama per liberarmi innanzitutto della corda e poi, eventualmente, anche del mio rapitore…
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Il barista, intento ad impilare casse di liquori, sentì ancora una volta il ticchettio della porta del locale e ripeté la sua battuta d’esordio…
“Siamo chiusi!”
Ottenendo nulla più che silenzio in risposta, lasciò la dispensa e si affacciò nella sala… i due corpulenti sconosciuti appena entrati se ne stavano in piedi di fronte al bancone, con i piedi solidamente piantati a terra…
Il barista tese i muscoli e si sforzò di sfoderare un’espressione cortese…
“Apriamo tra un paio d’ore...”
Uno dei due, capelli biondi e lineamenti spigolosi, allentò la cinta dell’impermeabile…
“Non siamo qui per bere…”
Esordì col suo accento spiccatamente russo…
“…dove è il Mamba?”
Il barista si fece serio…
“Siete male informati ragazzi… il Mamba è morto…”
L’altro intruso, grosso e moro, se ne uscì in una risata glaciale, mostrando senza preamboli la sua pistola… il tizio dai capelli biondi insisté…
“Ti consiglio di parlare… subito…”
Il barista indietreggiò, scattando verso la dispensa per prendere le sue armi… gli altri gli furono subito dietro e la breve colluttazione si concluse con qualche cassa rovesciata a terra ed il barista in ginocchio in un angolo…
“Parla…”
Ordinò lo sconosciuto sovietico, afferrandolo per la nuca così che la sua fronte fosse dritta al buco della pistola… il ragazzo mandò giù il sapore di sangue e strinse i pugni… il rapporto che lo legava a Joe era più che un semplice contratto di collaborazione, era un’amicizia, una sincera amicizia che lo spingeva alla più solida lealtà… non avrebbe barattato la sua vita con quella del Mamba, anche perché, a giudicare dalle facce che aveva di fronte, c’era ben poco da barattare…
“Dove è??”
Gridò il russo dai capelli chiari, stringendo la presa ancora più forte… il barista lo guardò dritto nelle pupille…
“Va’ all’inferno bastardo…”
L’altro non si scompose di un millimetro anzi… accennò un sorriso compiaciuto… con un gesto della mano invitò il suo complice a venire avanti e quest’ultimo, presa sicura e faccia di cera, piantò la pistola dritto in mezzo agli occhi del giovane barista…
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Guardai fuori dalla finestra del soggiorno… nulla sembrava fuori posto eppure ero certo che qualcosa non andasse… Jonah avrebbe dovuto già essere lì e tutto esser pronto per sparire… con Smirnov non c’era da scherzare, ogni momento era fondamentale…
Il suono netto dello sparo mi colpì alle orecchie come un pugno… tutti i miei recettori risposero alla stimolo simultaneamente e l’istinto del pericolo mi drizzò come fil di ferro… Corsi ad afferrare il coltello nella valigetta e mi piazzai davanti alla porta dell’appartamento… dovevo essere rapido e silenzioso… voltare a sinistra il più in fretta possibile, raggiungere la scala d’emergenza e correre fuori… contrassi la mandibola e chiusi gli occhi per un momento, accarezzato dall’eco dello sparo… il barista… Jonah… chi c’era lì sotto? Per chi era quella pallottola?
Aprii la porta senza produrre suoni e mi riempii i polmoni, pronto a trattenere il fiato e fuggire…
Non appena il pianerottolo si aprì davanti ai miei occhi, anche le due losche figure mi riempirono la vista, ancora forti dell’adrenalina post-omicidio a sangue freddo…
“Dobryj vecher Mamba...”
Il biondo si prese la briga di salutare nella sua lingua madre, sventolandomi davanti una pistola… raccolsi il saluto e sentii la carica salire, come fossi sul punto di mutare… l’assassino letale si stava risvegliando… contraendo tutti i muscoli, privo di vero timore, mi scagliai contro il primo russo, brandendo il coltello verso la giugulare… l’altro non si sforzò troppo, schivò appena il colpo e si lasciò sbattere al muro, piantandosi tra me e la parete con un tonfo secco…
Lessi immediatamente le sue intenzioni, ma non ebbi il tempo materiale di reagire al secondo agguato da dietro… il sovietico dai capelli scuri mi piantò un grosso ago nel collo e spinse nel mio sistema il liquido giallastro…
Mi sentii invaso da un insopportabile calore improvviso e lasciai presto cadere il pugnale, incapace di reagire mentre il più grosso dei due mi trascinava dentro… sembrava che le mie membra non rispondessero più ai comandi…
Una volta sbattuto sul divano come un sacco inerme, il biondo mi si parò davanti…
“Miorilassante…”
Imprecai nella mia testa contro tutti i santi che conoscevo, il mio corpo era allenato ai farmaci, ma non a simili dosi… sarei stato fuori gioco per un po’, giusto il tempo di smaltire il grosso della tossina.. e farmi massacrare dagli uomini di Smirnov...
“Non avete ancora imparato di non scherzare con mio signore…”
Esordì il tizio dai lineamenti spigolosi…
“Voi avete preso Nataljia…”
Continuò spostandosi sulla destra per lasciar spazio al compagno…
“…noi ci prenderemo te… e tuoi fratelli...”  
Il sovietico moro venne avanti caricando il colpo e scaricò un potente gancio destro sulla mia faccia... raccolsi abbastanza forze per non cadere sul fianco, sputando sangue e saliva contro il mio aggressore… l’altro sorrise, aveva appena cominciato…
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Smisi di roteare i polsi liberi non appena mi accorsi del trambusto fuori dalla mia stanza… silenziosamente poggiai l’orecchio alla porta ed ascoltai la voce degli intrusi…
Criminali… altri criminali… russi… crudeli…
Me ne stetti lì, immobile contro il legno, presa d’improvviso dalla spirale dei ricordi… il pericolo, la necessità di restare nascosta, il bisogno di trattenere il respiro per salvarsi la vita… erano tutte sensazioni che avevo già sperimentato nella mia vita, ancora capaci di farmi sentire una bambina indifesa… quasi riuscivo ad immaginarmi ancora dentro quel piccolo bagno immacolato…
Dai colpi era chiaro che stavano massacrando di botte Joe… al suono di ogni pugno chiudevo gli occhi ed ammiravo la forza e la leggerezza con cui incassava il dolore… doveva davvero esserci abituato…
Il mio istinto alla compassione fu presto zittito dal fastidioso accento sovietico di uno degli uomini presenti…
Lo chiamavano Mamba…
E stavano cercando una certa Nataljia…
Nataljia...
Mi spalmai completamente sulla porta e cercai di capire dove quella conversazione a senso unico volesse parare…
Lo scatto della sicura di una pistola rese chiare le intenzioni dei russi… volevano uccidere l’assassino… il mio assassino…
Strinsi le dita attorno all’impugnatura del coltello di Joe e poggiai l’altra mano sulla maniglia… la porta era chiusa, gli uomini ignoravano la mia presenza, se non avessi fatto alcun rumore probabilmente l’avrei scampata… stavolta come allora… purtroppo o per fortuna però, c’era una donna nuova e forte dentro la stanza, non più una bambina spaventata…
Respirai a fondo per tre volte, spingendo il diaframma in avanti, cercando di incamerare più ossigeno possibile…
Era finalmente tempo di fare i conti col passato…
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“Tu oggi muori Mamba...”
Sentenziò il biondo, ancora algido ed impettito nonostante la resistenza di Joe alle loro torture… poco importa che il bastardo non volesse parlare… uno di meno sulla lista… Alexei ne sarebbe di certo stato contento e lui non aveva altra missione che rendere fiero il proprio signore…
Joe rimase impassibile, fissando il bestione che gli puntava la pistola dritta in fronte… i suoi muscoli intorpiditi cominciavano a rispondere, se fosse riuscito a guadagnare qualche altro minuto avrebbe potuto ribaltare la situazione…
Lo scatto della sicura gli fece temere che non ci fosse più tempo…
Così finisce il Mamba, con una pallottola in fronte per colpa di una maledetta troia sovietica… oh Jet, avrai il mio nome sulla coscienza per molto, molto tempo, almeno finché non faranno a pezzi anche te…
“Aiuto!”
La voce di donna, accompagnata da colpi disordinati contro la porta, costrinse il tizio ad interrompere la spinta dell’indice sul grilletto… vistosamente spaesato rivolse lo sguardo al suo complice, ancora immobile con i timpani tesi verso la voce femminile…
“Aprite! Aprite! Fatemi uscire!”
Il russo biondo afferrò Joe per la mandibola, spingendo forte il pollice contro la guancia tumefatta…
“Chi è?”
L’assassino guardò al cielo indeciso… doveva ringraziarla o assicurarsi che facesse una fine degna della sua stupidità? Possibile che fosse tanto sciocca da farsi scoprire e, peggio ancora, pensare che due animali a sangue freddo come quelli l’avrebbero aiutata?
“Nessuno…”
Rispose tra i denti…
Il russo, insoddisfatto, si avvicinò al richiamo della sconosciuta… di certo non si trattava di Nataljia... meglio aprire e liberarsi anche di questo impiccio…
Tirò fuori la sua pistola, ruotò la chiave nella serratura e spinse la maniglia in un movimento fluido, per nulla scalfito dall’idea di dover aggiungere un ulteriore cadavere alla sua già lunga lista…
Aprì, nessuna tremante figura di donna gli si parò davanti, bensì il vuoto… corrugò appena le sopracciglia e mosse un passo verso l’interno, senza avvertire il bisogno di puntare l’arma… grave errore di valutazione…
Dall’angolo Françoise gli balzò addosso come un’arpia, stringendo le unghie della mano sinistra al bavero del suo impermeabile ed affondando la lama, stretta a destra, dritta nella gola del russo… un taglio netto e preciso delle vie respiratorie… il biondo sovietico cadde in ginocchio, pronunciando nulla più che un rantolo… già gonfio per la mancanza d’aria, si portò le dita a gola e viso, macchiandosi gli zigomi col suo stesso sangue… continuando a rantolare, con le sue ultime forze, cercò di afferrare la ragazza sconosciuta che aveva di fronte…
Françoise si limitò ad indietreggiare di un passo, lasciando sgocciolare il coltello sul parquet… alla rabbiosa rassegnazione del russo rispose con un sorriso, un angelico sorriso compiaciuto…
Joe riuscì finalmente a muovere tutte le dita, anche se il resto del corpo rifiutava di tirarsi su e scoprire cosa stesse accadendo nella sua piccola biblioteca… i rumori erano confusi e nessuno aveva ancora sparato né parlato, l’energumeno tantomeno Françoise, non che la ragazzina dell’aereo avesse qualche remota chance di sopravvivere…
Peccato averla persa così dopotutto… una ragione in più per mettere Smirnov al primo posto tra le sue prossime vittime…
Contro ogni sua possibile supposizione, Françoise venne fuori dalla stanza per prima, l’abito sporco di sangue ed il suo pugnale stretto nella mano…
Il suo pugnale. ..
Joe si maledì, credendo ancora che il sangue fosse suo e che la ragazza stesse sfilando dritta incontro alla morte…
“Hey!”
Françoise richiamò l’attenzione del grosso tizio dai capelli scuri nascondendo l’arma dietro la schiena… questi si voltò e rimase interdetto alla sua presenza, a giudicare dai lineamenti e dal candore della pelle, la sconosciuta avrebbe quasi potuto essere una di loro… quasi… il russo sollevò di nuovo la pistola e ruotò la mira verso di lei, pronto ad eliminarla senza secondi pensieri…
Françoise sorrise di nuovo, aguzzando lo sguardo e lanciandosi contro l’avversario col pieno delle sue forze, pronta a far saltare la pistola dalla sua presa con un calcio ben assestato…
Joe sgranò gli occhi davanti alla scena… nella sua posizione di semi-paralisi si concesse, per una volta nella vita, di essere totalmente, incredibilmente, infinitamente sorpreso…
Rimase a fissare con attenzione e perplessità il film che andava consumandosi davanti a sé… non riusciva a capire come fosse possibile…
Françoise, con tre o quattro colpi ben assestati, mandò giù al tappeto anche il secondo uomo… prima che potesse provare a rialzarsi di nuovo, gli piantò un calcio nella nuca e si inginocchiò, pronta a ficcare tutta la lama nel suo torace, sempre senza il minimo segno d’esitazione…
Il russo smise ben presto di contorcersi ed agonizzare, lasciando Françoise immobile, in piedi accanto al suo cadavere… lei se ne stette lì a riprendere fiato, il torace su e giù in lenti movimenti, mentre il dolore dei colpi presi iniziava a scemare…
Joe si irrigidì contro il divano, cercando immediatamente di muovere quanti più muscoli possibile… ennesimo tentativo inutile… le sue gambe non avevano intenzione di camminare…
Françoise si voltò verso di lui sentendolo muovere… i capelli scompigliati nascondevano i futuri lividi sul suo viso… venne avanti saltando il corpo e raccolse lentamente la pistola della sua vittima, accovacciandosi e tornando su per guardare ancora l’assassino, gli occhi di lui appena più aperti del normale e le sopracciglia ravvicinate per l’espressione confusa…
Joe mosse finalmente le braccia, ma non riuscì comunque a tirarsi su… l’incredulità del momento non gli permetteva di affilare pensieri logici…
La ragazzina dell’aereo aveva davvero ucciso i due scagnozzi di Smirnov? Così, come se nulla fosse?
“Aiutami…”
Le chiese… in fin dei conti era in debito con lui, giusto? Sia che fosse una ragazzina innocente che una specie di Mr Hyde al femminile…
Françoise sorrise con un sospiro, la fatica stava lentamente scomparendo, rimpiazzata da una nuova scarica di adrenalina… lasciò roteare la pistola nella mano guardando il pavimento per qualche secondo…
“In realtà…”
Esordì
“…non credo di poterlo fare…”
Joe sollevò il mento diventando una specie di blocco di marmo, i pugni stretti a tentare ancora una volta di rimettersi in piedi…
“Che vuoi fare allora?”
Domandò con voce bassa… gli occhi puntati sull’arma in suo possesso…
Françoise inspirò fino a riempirsi lo sterno, sollevò piano la pistola all’altezza degli occhi di Joe, la tenne dritta di fronte a sé e buttò fuori l’aria…
“Credo che ti ucciderò… Mamba...”
Finalmente in grado di guardarla in viso, fu come scoprire una nuova persona, come se nuovi lineamenti si fossero mostrati sul viso della sua angelica ragazzina, come se un’anima nuova l’avesse abitata di colpo…
Un sorriso genuino, un sorriso compiaciuto, soddisfatto, cattivo…
Quella non era la ragazza maldestra che aveva salvato dall’aereo, il suo non era un mero tentativo di liberarsi e quello non era il colpo di fortuna e ribellione di un ostaggio… il modo in cui si era mossa, forte e precisa, colpendo quei tizi solo nei punti giusti… il modo in cui impugnava la pistola, braccia ferme, ginocchia leggermente piegate, gambe divaricate… la posizione di chi sa come si spara, la sicurezza di chi ha già sparato altre mille volte… la luce nei suoi occhi, divenuti di colpo blu come la notte, il sorrisetto difficile da tenere a freno, la completa mancanza di incertezze...
Il cuore gli si fermò nel petto…
Aveva addosso lo sguardo di un killer…
“Chi sei tu?”

 

Parte 8

Il cuore mi si fermò nel petto…
Avevo addosso lo sguardo di un killer…
“Chi sei tu?”
Françoise inclinò la testa da un lato…
“Conosci già il mio nome…”
Françoise Arnaul… Françoise Arnaul... Françoise Arnaul... lo ripetei un milione di volte nella mia testa… continuava a non dirmi nulla, non avevo nemici o conoscenti che portassero quel nome, nessuno nella malavita che si chiamasse così… eppure ero certo che la ragazza non avesse mentito…
“Sembri perplesso…”
Riprese lei con tono sarcastico, mettendo giù l’arma per concedersi una postura più comoda
“…per cui proverò ad aiutarti… Françoise è il nome che mio padre mi ha dato, ma gli amici mi chiamano Fenice...”
La vidi muoversi per casa mia come se ci fosse già stata una decina di volte… Fenice... un nome d’arte anch’esso del tutto sconosciuto alle mie orecchie… chi diavolo era la ragazza? Che cazzo stava succedendo? Presi a muovermi cercando in ogni modo di tornare in piedi… chiunque fosse quella specie di automa ricondizionato, di certo non si trattava di un’amica ed il groviglio di domande che rapidamente mi stavano intasando il cervello avrebbero atteso per una risposta… controllo e difesa prima di tutto…
Françoise riapparve con la corda in mano, la stessa che avevo usato con lei… tesi i muscoli delle braccia… non amavo particolarmente l’idea di picchiare a sangue una donna, ma come si dice, a mali estremi, estremi rimedi…
Fenice, se quello era il suo altro nome, si avvicinò di nuovo al cadavere della sua seconda vittima…
“Odio i sovietici… sono così pieni di sé… e per quali motivi poi? Solamente perché bevono fiumi di vodka e riescono comunque ad eseguire un perfetto triplo axel?”
Ne seguii i movimenti senza tener conto del suo sparlare… Françoise si abbassò piano e tastò le tasche del defunto…
“Ma bisogna dargliene atto…”
Riprese, tirando fuori un’altra siringa, perfettamente identica a quella già svuotata dal russo nelle mie vene...
“…sono sempre previdenti…”
“No…”
Intimai, sperando in qualche modo di bloccare le sue evidenti intenzioni… Françoise mi sfilò attorno, prima sbattendo delicatamente la punta dell’indice sulla siringa e poi lasciando uscire dall’ago metà del contenuto…
Presi a respirare affannosamente, quella mancanza di controllo era la peggior tortura che avessi mai subìto… potevo usare le mani, ma non potevo alzarmi ed i miei muscoli erano ancora troppo intorpiditi per poter contare sui riflessi… feci per lasciarmi cadere da un lato e sollevare il gomito, ma Françoise non si scompose… da dietro, con un rapido gesto, mi piantò l’ago nella coscia destra…
Strinsi i denti ignorando il dolore, approfittando della vicinanza per afferrare i capelli della ragazza ed immobilizzarla a pochi centimetri dalla mia faccia… Françoise sorrise trovandosi così vicina a me... quasi subito la mia presa iniziò ad allentarsi e lei concluse la manovra storcendomi il polso con uno scatto brusco… trattenni a stento un lamento e tornai a guardare di fronte…
“Bene…”
Mugugnò lei passandomi la corda attorno a polsi e caviglie, realizzando due grossi nodi a prova di Houdini… soddisfatta della sua opera, tornò a guardarmi negli occhi, completamente affascinata ed esaltata dalla mia candida confusione…
“Non hai ancora capito vero?”
Non mi mossi… lei accennò un sorriso…
“Ti darò un altro indizio allora…”
Inspirò profondamente con una strana espressione in volto, come se allo stesso tempo stesse per svelare il quarto segreto di Fatima ed annunciare il vincitore dell’oscar per il miglior attore protagonista…
“…Heinrich…”
Si spinse avanti quasi fino a poggiare la fronte sulla mia…
“...i Fantasmi Neri...”
Spalancai gli occhi facendo appello a qualsiasi briciolo di energia rimasta pur di muovermi... il Clan dei Fantasmi Neri di Heinrich… la peggior cosa che potesse capitarmi...
Se si dovesse fare una lista dei nemici degli Shimamura… beh, senza dubbio l’elenco sarebbe lungo… tuttavia, laddove si dovesse assegnare un premio per il più subdolo e pericoloso, il vincitore sarebbe senza dubbio Albert Heinrich...
Ultimo membro di una lunga dinastia di assassini tedeschi, Albert era stato espulso dalla sua stessa famiglia per, come lo si potrebbe definire, eccesso di zelo forse? La sua infinita sete di potere e totale irrispetto delle regole, lo avevano visto impersonare perfettamente la cacciata di Lucifero dal Paradiso… al pari del diavolo stesso infatti, Albert aveva deciso di fondare la sua personale organizzazione di killer professionisti, il “Clan dei Fantasmi Neri” per l’appunto…
Scossi nervosamente la testa… non aveva comunque senso… anche gli Shimamura, come chiunque altro avesse un po’ di buon senso, evitavano accuratamente di pestare i piedi ad Heinrich... perché mai mandare uno dei suoi sicari per uccidermi? E questa ragazza poi? Chi diavolo era Françoise Arnaul? Conoscevo a memoria tutti i volti del clan e la ragazzina dell’aereo di certo non ne faceva parte…
Françoise si tirò su e tornò a girovagare per la stanza, stavolta diretta verso la mia giacca appesa all’entrata… ne tirò fuori il pacchetto e l’accendino… accese una delle sigarette e tirò una lunga, piacevole boccata…
Il fumo le uscì di bocca in un sinuoso intreccio grigiastro…
“Aaaah... quanto mi mancava…”
Di nuovo si riempì i polmoni di catrame e nicotina…
“Mi spiace propormi così… secondo il piano avrei dovuto aspettare che ti fidassi di me abbastanza da presentarmi i tuoi, ma devo ammetterlo…”
Stirò i muscoli del collo ruotando lentamente la testa e portando i lunghi capelli sulla spalla sinistra…
“…tutti quei sospiri, quelle lagne, «no, ti prego Joe fermati»... iniziava a diventare davvero frustrante…”
Concluse mimando ed enfatizzando un’espressione disperata… digrignai i denti, la vista era quasi annebbiata ed il mio cervello faceva fatica a seguire il nesso logico delle sue parole… lei sorrise…
“Almeno ho raggiunto lo scopo…”
“Quale scopo?”
Si avvicinò stringendo la sigaretta accesa tra indice e medio, curvò la schiena fino alla mia altezza e roteò l’indice libero davanti ai miei occhi…
“Entrarti nella testa…”
Poggiò il polpastrello freddo sulla mia fronte mentre fremevo, mosso dal barbarico istinto di uscire dalle mie inutili membra… mi uscì di bocca una specie di grugnito…
“No…”
“No?”
Françoise si avvicinò ancora, sfiorandomi la tempia col naso e l’orecchio con le labbra, lasciando una seducente scia di respiro al tabacco…
“Un altro paio di giorni insieme e scommetto che avresti anche ucciso per me…”
Scostai la testa il più lontano possibile e strinsi i denti… lei si tirò su buttando la cicca sul pavimento…
“Non sentirti in imbarazzo adesso, è esattamente così che sarebbe dovuta andare…”
La schiacciò…
“…d’altra parte, ero la stella della classe di recitazione qualche anno fa sai? Certo non pensavo che il mio talento potesse tornare utile in così tanti modi…”
Strattonai le corde con tutta la forza possibile…
“Che cosa vuoi?”
Sbottai… il viso angelico di Françoise divenne duro come la pietra…
“Tuo padre…”
Rispose guardandomi dritto negli occhi…
“Lui mi ha tolto qualcosa anni fa e adesso io mi prenderò quel che ha di più prezioso…”
La sua espressione si sciolse in un misto di fascino ed eccitazione…
“…suo figlio...”
Inaspettatamente sbuffai l’accenno di un sorriso e sollevai il mento nella sua direzione…
“Se è a lui che vuoi fare un dispetto, hai preso il figlio sbagliato…”
Sollevò un sopracciglio, genuinamente incuriosita dalle mie parole… si avvicinò di nuovo…
“Che vuoi dire?”
Cercai di stringere i pugni, bloccato in una sorta di scontro tra incudine e martello… il mio cognome era la cosa più importante che avessi, ma allo stesso tempo l’idea di poterlo rigettare era un sollievo infinito, una specie di via di fuga sempre aperta che, tuttavia, amavo attraversare esclusivamente in solitudine… in quella bizzarra situazione avrebbe finito per rivelarsi un’arma a mio vantaggio…
“Non sono suo figlio…”
Rivelai, lasciando trasparire un’ombra di orgoglio… odiavo Jack…
“…non biologicamente almeno…”
Françoise sollevò le ciglia…in quel momento osservò i miei lineamenti ancora una volta con più attenzione, lasciando scorrere la punta delle dita sui miei zigomi e sulle mie labbra, così diverse da quelle degli altri Shimamura...
“Mh…”
Mugugnò mentre cercavo di ritrarmi, quasi le sue mani fossero acido muriatico…
“…questo spiega gli insoliti tratti caucasici…”
Si tirò indietro di colpo, mettendosi a camminare su e giù per la stanza e giocherellando con le dita…
“Facciamo un riassunto allora…”
Le sue labbra erano protratte in una sorta di broncio, quasi dovesse realmente concentrarsi…
“Tuo padre è un mostro… tu sei un bastardo… e tua madre era una puttana...”
Saltai sul divano come se mi avessero conficcato uno spillo aguzzo nella carne…
“Non osare nominare mia madre!”
Urlai, lasciandola sconvolta per un breve secondo…
“Hey, quanta foga!”
Tornò accanto a me e riuscì a stringermi il viso tra le mani…
“Non preoccuparti… potrai non essere utile come speravo, ma per fortuna abbiamo già anche il fratello numero tre…”
Sorrise di gusto mentre mi dimenavo…
“Dov’è Jonah?”
Françoise inspirò profondamente e mollò la presa spingendomi con poca grazia contro lo schienale del divano…
“Temo che la tua domanda dovrà aspettare…”
Si diede un’occhiata passando i palmi sulle macchie di sangue già rappreso…
“…ho bisogno di una doccia…”
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Jonah sputacchiò cercando di riprendere respiro… le ultime due ore della sua vita le aveva passate con un cappuccio nero in testa, perdendo completamente il senso dello spazio… sforzando le retine per mettere a fuoco il prima possibile, si vide in una stanza vuota con le pareti di mattoni, i polsi legati ed il viso dolorante per le percosse… l’odore umidiccio di muffa e polvere era quasi insopportabile…
“Una vera topaia, non credi?”
Quella voce profonda, dal tono irrimediabilmente sarcastico, lo colpì come una doccia fredda… niente russi, tuttavia nessun sollievo, anzi…
“Il posto perfetto per un verme come te…”
Aggiunse la voce, girando piano in circolo fino a pararglisi di fronte… Jonah contorse le labbra e tese il collo… avrebbe davvero preferito essere col sanguinario Alexei Smirnov…
Incarnato pallido, ma perfetto, capelli scompigliati color ebano e grandi occhi verde bottiglia, il tutto inscatolato su un fisico esile, tuttavia solido come il marmo… ghigno da duro e chiodo di pelle… in due sole parole Matt Ryce, il gemello terribile…
“Dov’è la tua brutta copia?”
Esordì Jonah, lasciando scontrare la sua fastidiosa sicurezza contro quella del nemico…
“Aveva delle commissioni da fare, ma non preoccuparti Shimamura, sono sicuro che riusciremo a divertirci anche da soli…”
Jonah buttò indietro la testa, già esasperato nel vederlo indossare il pugno di ferro… la sua faccia perfetta, merito di madre natura, della settimanale maschera al polline egiziano e due iniezioni di costoso filler biologico, stava per dirgli addio…
Matt Ryce del resto, era ben famoso per i suoi modi poco delicati e per il sarcasmo congenito, unico tratto, assieme al taglio di capelli, che lo rendeva distinguibile da Big J, suo fratello gemello… l’ultima volta che Jonah si era trovato faccia a faccia con i Ryce, circa cinque anni prima, il tutto era finito in una mega rissa per via di un’auto distrutta… la preziosa Mercury Comet del ’65 con i sedili in pelle rossa che Jonah e un altro idiota avevano deciso di rubare… pessima idea… Joe era intervenuto in suo aiuto come sempre, ma se non fosse stato per l’intervento delle guardie di Jack, molto probabilmente i gemelli pazzi avrebbero avuto la meglio…
“Ancora per la storia della macchina? Dopo cinque anni? Andiamo amico, fatti una vita!”
Matt interruppe la discesa del suo gancio destro…
“Giusto… mi hai appena ricordato che dovrei massacrarti anche per quello… amico…”
E detto ciò gli sparò in faccia le nocche tese, squarciando la pelle come fosse carta…Jonah non trattenne la sua protesta, sentendo il sangue scorrergli fino alle labbra, tuttavia smise di preoccuparsi per il conto del chirurgo plastico ed accese il cervello…
“Anche per quello?”
Ripeté le parole del gemello…
“Perché sono qui?”
Matt sfoderò un sorriso obliquo…
“Perché sei un idiota, incapace, senza spina dorsale… ma a parte questo non è stata una mia iniziativa…”
“E di chi allora?”
Il gemello premette i polpastrelli sullo zigomo ferito di Jonah, godendo del suo tentativo di mascherare il dolore pungente…
“Ti dice niente il nome Heinrich?”
Jonah spalancò gli occhi facendo del suo meglio per venir fuori dalla presa di Matt... bastava quella parola per capire che era finito in guai ben più grossi del previsto…
“Sei uno dei Fantasmi Neri adesso?”
Domandò cercando di mantenere un’apparenza più rilassata possibile… non voleva davvero dargli la soddisfazione di riconoscere il suo immenso vantaggio nell’essere parte del clan…
Matt sorrise ancora…
“Cosa credevi? Che il mio talento sarebbe andato sprecato ancora per molto?”
Guardando il nemico brillare di luce propria mentre vantava la nuova posizione, Jonah si dette il tempo di respirare e valutare la situazione… Albert Heinrich ed i suoi Fantasmi Neri erano i più temibili antagonisti che si potesse incontrare, crudeli, decisi, senza scrupolo alcuno… del resto, tutta l’organizzazione basava proprio su tali principi e dalla mancanza di vincoli traeva la forza… dopo essere stato rigettato dalla sua stessa famiglia, Albert aveva infatti rivalutato totalmente il valore dei legami di sangue, trovando nel loro esatto opposto una formidabile risorsa… mentre gli Shimamura poggiavano il loro impero proprio sulla condivisione del dna, i Fantasmi Neri ingaggiati da Heinrich non avevano nulla in comune se non le doti criminali e la gran sete di riscatto… tutti raccolti negli orfanotrofi, nei riformatori o perfino in strada, i suoi ragazzi creavano un perfetto sistema di isole indipendenti… letali nel lavoro di squadra, erano in grado di esprimere il loro pieno potenziale esclusivamente in solitaria, totalmente spogliati della necessità di rispettare o difendere qualcun altro… i Fantasmi Neri non avevano limiti o regole, ciò li rendeva pressoché imbattibili…
“E che mi dici di Big J, fa anche lui parte della squadra?”
“Ovvio...”
Ottimo, pensò Jonah, se non altro poteva ancora contare su un punto debole…
“E non è contro le regole?”
Cercò di indagare, ma Matt parve presto indispettito dalle sue domande… si rivestì della sua glaciale perfezione e riportò l’attenzione sul suo ostaggio, massaggiando la mano in prospettiva di un nuovo pugno…
“Non ci provare Shimamura... sai bene che ucciderei anche lui se fosse necessario...”
Jonah chiuse gli occhi per un secondo… Matt era un osso duro, troppo duro… per capire le motivazioni di una simile personalità antisociale avrebbe dovuto conoscere meglio la storia dei gemelli, ma tutto ciò che sapeva è che i due erano venuti fuori dall’orfanotrofio verso gli undici anni, affidati ad una famiglia da cui erano fuggiti qualche anno più tardi… da quel momento in poi poteva solo supporre che l’istinto di sopravvivenza avesse loro insegnato tutto ciò che sapevano… certo, doveva essere stata davvero una vita di merda per ridurli così…
“Che cosa vuoi da me?”
Decise allora di mirare dritto al punto… Matt si attaccò ad una bottiglia di birra che Jonah non aveva notato fino a quel momento… Dio se aveva sete…
“Voglio solo che tu mi faccia un po’ di compagnia…”
Suonò angelico dopo la sua serie di sorsi…
“…almeno finché non arriveranno gli altri...”
Jonah sentì la pelle d’oca sulle braccia… la faccenda andava complicandosi… chi sarebbe dovuto arrivare? Big J? Un’intera squadra di torturatori? Heinrich in persona?
“Chi?”
Domandò con la gola già secca… il gemello sorrise di gusto ancora una volta…
“Oh, non temere Shimamura, conosci già tutti gli invitati a questa festa…”
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“Sta succedendo qualcosa padre…”
Esordì Jet dopo essere piombato nello studio del padre, la sua impeccabile apparenza segnata da un velo di agitazione… Jack girò sulla sua sedia di pelle e sorseggiò il suo whiskey…
“Alexei se n’è appena andato… temo sia più che consapevole delle nostre menzogne…”
“Appunto…”
Jet avanzò dopo aver sbottonato l’unico bottone della giacca…
“…Joe e Jonah non rispondono alle mie chiamate… dovrebbero essere fuori città ormai…”
Jack abbassò le palpebre scuotendo lentamente il capo… l’incompetenza dei suoi figli minori era come sempre fastidiosa…
“Credi abbiano avuto problemi?”
“Temo di sì padre…”
Lui non parve scosso né preoccupato, ancora una volta si bagnò le labbra perdendosi nei propri pensieri… mosse la sedia e contemplò una foto della sua famiglia appesa al muro… in perfetta armonia di altezze e proporzioni, il capofamiglia sedeva al centro, con accanto la sua signora, avvolta in una camicia di seta bianca, i lunghi capelli ramati raccolti in uno chignon perfetto… attorno a loro i quattro ragazzi, impeccabili nei loro abiti puliti... quell’immagine esprimeva a pieno l’ordine e la gerarchia della famiglia…
“Le donne sono creature semplici figlio mio…”
Jet raggiunse con gli occhi il punto d’attenzione del padre, cercando di star dietro al suo repentino cambio d’argomento…
“…vogliono essere conquistate… vogliono essere possedute, tenute a freno dai loro uomini…”
Jet fece per rispondere, ma si fermò, finalmente in grado di capire a cosa sua padre stesse riferendosi… Nataljia...
“…tuttavia figliolo, hanno bisogno di illudersi di poter prendere le loro decisioni… necessitano di essere soddisfatte nelle loro velleità…”
Lanciò un’occhiata al suo secondogenito…
“…dentro e fuori dalle lenzuola…”
Jet distolse d’istinto lo sguardo… da ormai due anni, ogni notte, si interrogava sui propri errori e tanto bastava, di certo non aveva bisogno che suo padre fra tutti lo accusasse di aver mancato… fortunatamente Jack parve immergersi di nuovo nei propri ricordi…
“Anche tua madre era così…”
Sospirò…
“…timida e delicata all’apparenza, ma selvaggia come una tigre… avrei dovuto costruirle una gabbia molto più grande…”
Si perse nella propria metafora, spandendo sale sulla ferita del tradimento subito… come aveva osato? Portare in casa sua il bastardo di un altro… sperando per giunta che non se ne accorgesse. Jet ne approfittò per tirarsi fuori…
“Perdonami padre, ma credo di dovermi occupare di un altro problema adesso…”
“I tuoi fratelli?”
Jet annuì…
“Cosa intendi fare?”
“Andrò al vecchio hotel e all’appartamento di Joe… voglio controllare che tutto sia andato come previsto…”
Lo Shimamura più anziano rispose con un gesto di assenso…
“Occhi aperti Jet… occhi aperti...”
Jet voltò lentamente le spalle e lasciò lo studio…
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Françoise venne fuori dal bagno avvolta in un morbido e profumato asciugamano azzurro, seguita da una nuvola di vapore al sandalo indiano… Drizzai muscoli e orecchie sentendola arrivare… durante l’ultima mezz’ora avevo sforzato le mie cellule cerebrali per ricordare quel nome, ma la sua ricerca non aveva dato frutti… Fenice doveva essere un nuovo acquisto della compagnia ed io non avevo idea del perché volesse tanto arrivare a mio padre…
La ragazza mi si parò davanti esaminando attentamente uno dei flaconi che aveva scovato in bagno…
“Dovresti usare un vero idratante… questa roba è una schifezza per la pelle…”
Sospirai esasperato… non ricordavo minimante come quel cosmetico da donna fosse finito a casa mia e soprattutto, non poteva fregarmene di meno… Françoise strizzò la confezione e prese a spalmarsi il fluido bianco sulle gambe con pigri movimenti circolari, quasi stesse improvvisando uno spettacolino sexy… sbuffai nervosamente ancora una volta…
“Che c’è?”
Domandò lei innocentemente, sollevando l’asciugamano per stendere meglio la crema…
“Ti piace quello che vedi, non è forse vero?”
Girai gli occhi all’altro lato della stanza, determinato a mantenere la concentrazione… essere stato ingannato era già abbastanza fastidioso, non c’era bisogno che «Fenice» me lo sbattesse in faccia, tanto meno che le curve del suo candido corpo mi distogliessero dai miei pensieri, primo fra tutti l’incolumità di Jonah...
“Guardami…”
Ordinò lei, ma io non mi mossi... allora mi raggiunse e sollevò il piede nudo sul divano, lasciando che un solo angolo di tessuto coprisse l’ultimo spazio tra le sue gambe… riprese ad accarezzarsi cercando di far assorbire la lozione e piegare la mia resistenza…
“Mi è piaciuto sai? Fare sesso con te…”
Vacillai, preso dal ricordo del nostro amplesso e dal profumo del mio docciaschiuma addosso alla ragazza dell’aereo…
“Avrei voluto urlare… chiederti di spingere più forte…”
Riprese lei con tono seducente ed io allora mi voltai, risalendo con gli occhi la linea della sua gamba scoperta fin su alle spalle ed al suo viso pulito… erano state l’ingenuità e la sua infantile ed indifesa innocenza ad attrarmi, entrambe totalmente sparite, ciononostante quell’espressione decisa ed il broncio da poco di buono solleticavano i miei ormoni… se la vecchia pudica ragazzina dell’aereo aveva acceso le mie fantasie erotiche, questa nuova versione, malvagia e lasciva, avrebbe meritato i miei più oscuri, perversi e sadici desideri sessuali… peccato avere le mani legate e cose più importanti a cui pensare…
“Dov’è Jonah?”
“In buone mani...”
Si limitò a rispondere lei chiudendo il flacone…
“Se gli fate qualcosa giuro che…”
“Cosa?”
Digrignai i denti…
“Ti faccio a pezzi…”
Françoise sollevò le spalle allontanandosi dal divano…
“Ho già sentito questa minaccia decine di volte… non hai nulla di meglio?”
Se ne stette immobile al centro del soggiorno per una manciata di secondi poi lasciò cadere l’asciugamano, mostrandomi la schiena nuda e la perfetta rotondità delle sue natiche… dovetti guardare per forza, sorpreso e allo stesso tempo colpito dal piccolo dettaglio di un tatuaggio a forma di F sotto la sua scapola sinistra… aveva il marchio, era davvero una dei Fantasmi Neri...
Françoise mi lanciò un’occhiata voltando il collo…
“E’ possibile che tu abbia dei vestiti da donna decenti qui?”
Non risposi neanche…
Lei sospirò sollevando le spalle e sparì nell’altra stanza… tornò da me una manciata di minuti più tardi… il mio armadio era privo di vestiti femminili, per cui aveva arrangiato una delle mie camicie come fosse un miniabito, tenendo sotto nulla più che una t-shirt scura… accarezzai con gli occhi le gambe nude, inevitabilmente scoperte fin più su di metà gamba.... i miei vestiti addosso ad una donna… era una novità… una piacevole novità, se non fosse che la donna in questione era uno dei Fantasmi Neri e non vedeva l’ora di strapparmi il cuore dal petto…
“Dimmi chi sei e cos’hai fatto a Jonah...”
Ordinai seccamente…
“Una cosa per volta… Jonah è con un mio amico, ma non preoccuparti, presto lo raggiungerai anche tu…”
Apostrofò lei puntandomi l’indice e la vista addosso…
Risposi allo sguardo reggendo i suoi occhi con tutta la decisione possibile… non vi era più timore in quelli di lei… nessuna emozione riconoscibile, se non un profondo stato di eccitazione, forse per la sua nuova posizione di comando, forse per il piano diabolico che aveva in mente… se solo avessi potuto allungare le mani le avrei strappato quell’espressione compiaciuta dalla faccia, rimettendola al suo posto in men che non si dica…
“Chi sei tu?”
Scandii ed ottenni uno sbuffo in risposta…
“Sei ripetitivo…”
“Conosco quelli del clan… tu non sei mai stata con loro…”
“Sbagliato… innanzitutto non conosci affatto tutti i Fantasmi Neri e, secondo, io sono una di loro, da sei anni ormai, il che prova ancora una volta che tu non sai niente sul clan…”
Digrignai i denti… se la ragazza aveva ragione, i miei problemi sarebbero diventati ancor più complessi…
“Vediamo…”
Fenice afferrò una sedia e si accomodò dritta di fronte a me…
“L’incendio che ha distrutto «La Salle de Paris» di New York anni fa… ti dice niente?”
Non mi scomposi… non ero solito seguire la cronaca locale, tantomeno gli affari della microcriminalità della grande mela…
Françoise si leccò le labbra…
“Forse questo lo ricordi… Gordon Miller, della Miller Enterprise… trovato carbonizzato nella sua Porsche dopo un terribile incidente d’auto… credo fosse amico del tuo caro paparino…”
Miller Enterprise, il nome non gli era nuovo… Jack aveva prestato una grossa somma al capo, un’operazione di import-export che avrebbe dovuto fruttare milioni e si era invece rivelata una completa fregatura… l’idiota in questione si era schiantato contro un palo della luce prima che i sicari di mio padre potessero fargliela pagare…
Françoise colse il bagliore di consapevolezza nei miei occhi e sorrise appena…
“Opera mia…”
La guardai stupito, lei riprese…
“E te ne dirò anche un’altra… ti ricordi di Gary e Bruce?”
Gary e Bruce... esecutori materiali delle sentenze di Jack, il primo trovato morto con un colpo in mezzo agli occhi, il secondo sparito nel nulla…
“Sono stata io…”
Aggrottai le sopracciglia…
“Perché?”
Françoise spostò lo sguardo…
“Come se ti importasse… a te non importa di nulla… tu sei come lui…”
Di nuovo mi arrivò vicina, prendendomi il viso nella mano e stringendo con forza…
“…e come lui meriti di soffrire…”
Mi tesi nella sua presa, scavandone lo sguardo alla ricerca di un indizio qualsiasi… la ragazza aveva dentro rabbia e dolore, rimorso e sofferenza… qualunque motivo l’avesse spinta ad unirsi ai Fantasmi Neri, l’organizzazione non era ancora riuscita a succhiare tutta la sua umanità… quel turbine di emozioni era il punto debole che avrei dovuto colpire…
“Che cosa ti ha fatto mio padre?”
Lei si staccò, improvvisamente infastidita…
“E tu perché lo chiami padre?”
Bella domanda…
Françoise si strinse nella mia camicia e mosse qualche passo nella stanza, ritrovando pian piano la sua facciata impassibile…
Mi lanciò un’occhiata micidiale…
“Ucciderò te, tuo padre e i tuoi fratelli… questo è tutto ciò che devi sapere…”
Prese a muoversi verso l’altra stanza, ma la mia voce la bloccò…
“Avete preso me e Jonah è vero, ma Jet è un’altra storia… non riuscirete mai a prendere anche lui…”
Françoise indugiò appena…
Voltò la testa sulla spalla destra, schiudendo le labbra in un mezzo sorriso seducente…
“Non preoccuparti… ho un’arma segreta riposta per lui…”
Rimasi a fissare il punto in cui lei era sparita, rimuginando in silenzio sulla situazione… Jet era più furbo di tutti noi messi insieme, qualunque fosse il tranello non avrebbe abboccato, ne ero sicuro…
Bussarono alla porta…
Mi irrigidii, pressoché certo che si trattasse proprio di mio fratello giunto in mio soccorso… la ragazzina, fantasma nero o meno, non avrebbe avuto chances…
I colpi alla porta si ripeterono, cadenzati e ritmati così da comporre una specie di melodia… Françoise tornò in soggiorno, si riempì i polmoni passando le mani tra i capelli e studiando attentamente la sua figura allo specchio… quella specie di musichetta ed il sorriso di lei spensero in me qualsiasi entusiasmo…
“La nostra limousine è qui…”
Scherzò lei…
Non appena la porta si aprì, il tizio sulla soglia venne dentro con passi fluenti… pelle chiara, capelli d’ebano tenuti su dal gel, grandi occhi color verde bottiglia… imprecai contro il cielo, l’ultimo tassello da aggiungere alla lista delle mie disgrazie… Big J... l’altro gemello Ryce…
Il nuovo arrivato si guardò attorno brevemente, poi rivolse gli occhi a Françoise... il suo sguardo la analizzò da capo a piedi…
“Hai un aspetto orribile…”
Sentenziò, ma in risposta non ottenne altro che un sorriso di scherno…
Spostai gli occhi e mi sforzai di pensare… perché Big J era lì? Era anche lui uno dei Fantasmi Neri? E Matt allora? Se i gemelli erano immischiati nella faccenda forse c’era davvero qualcosa di cui preoccuparsi...
L’ombra di Big J su di me mi riportò al presente… il suo sorrisetto, in perfetta stonatura con l’aria da bravo ragazzo, mi tese ancor più i nervi… odiavo i gemelli Ryce, così come si odia una scheggia di legno conficcata nel dito… detestavo le loro facce pulite e non sopportavo non sapere per cosa stesse quella stupida J... nessuno lo sapeva...
“Andiamo amico…”
Esordì il gemello…
“…il tuo caro fratellino ci attende alla festa…”
Ad un suo schiocco di dita due possenti energumeni entrarono in casa mia e mi sollevarono di peso, trascinando i miei piedi molli fuori dal portone… dietro di me Françoise e Big J…
“Hai lasciato l’invito per Jet?”
Domandò lui a Fenice… lei si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito, fiera ed impaziente…
“Certo… l’invito lo attende… in carne ed ossa…”

 

Parte 9


Quel posto era una vera bettola, i muri gocciolavano e tutta quell’umidità puzzolente iniziava a penetrarmi nella pelle della schiena… l’effetto del miorilassante era ormai sparito, quindi, ad occhio e croce, erano passate almeno due ore da che gli scagnozzi di Heinrich mi avevano depositato in quella stanza scura… il tizio che avevo di fronte, incaricato di «intrattenermi», si era già stancato da un pezzo di prendermi a pugni ed ora stava lì, con gli occhi incollati al suo telefono e la mente rapita da qualche stupido videogame o sito porno…
Stirai i muscoli del collo, prima a destra poi a sinistra, finendo testa al muro nel tentativo di roteare il capo… ero attaccato alla parete di mattoni e cemento, letteralmente incatenato per i polsi come in una sorta di stanza delle torture medioevale, senza poter far altro che allungare e piegare le ginocchia… il mio cervello era tornato al pieno dell’attivazione e tutti i miei pensieri giravano attorno all’unica idea di uscire di lì, possibilmente intero… continuavo a chiedermi se Jonah fosse da qualche parte nella mia stessa situazione o se la sua assenza significasse che qualcuno di quegli psicopatici aveva osato fargli del male… la sola idea mi fece ribollire il sangue… finii inevitabilmente per fissare il tizio davanti a me ed immaginarmi, a chiari colori, l’intreccio delle sue budella sul pavimento… Poco male che non avessi coltelli con me, avrei squartato tutti a mani nude se fosse stato necessario…
La porta della stanza si aprì di colpo mostrando, nella scia di luce dall’esterno, il nuovo aspetto pulito ed ordinato di Françoise… doveva essersi fatta un’altra doccia perché l’odore di muschio bianco era stato completamente sovrastato da una nuova fragranza di miele e lavanda… stucchevole… i suoi capelli rimbalzavano perfetti sulle spalle ed indossava disinvolta un paio di shorts e una maglietta…
“Vattene Nick...”
Ordinò senza nemmeno guardare l’altra persona nella stanza, i suoi occhi erano fissi, puntati come armi, addosso a me... il tizio eseguì senza fiatare… la porta gli si chiuse dietro e Françoise rimase in silenzio all’angolo della stanza…
Poi, lentamente, mosse qualche passo verso di me, ispezionandomi attentamente con lo sguardo…
Si avvicinò di due passi ancora, guardandomi dall’alto… dalla tasca posteriore dei pantaloni tirò fuori dell’acqua e piano svitò il tappo…
“Scommetto che hai sete…”
Piegò le ginocchia e mi avvicinò la bottiglia alla bocca solo per vedermi ritrarmi e girare il capo dall’altro lato a labbra serrate…
“Credi che sia davvero così vile? Non copierei mai lo stile di uno Shimamura…”
Precisò, mandando giù due sorsi pieni di liquido trasparente… tornai a guardarla, ancora sospettoso, ma assalito da bisogni primari… mossi i polsi cercando ancora una volta di venir fuori dalle catene, ma rinunciai ben presto… Françoise mi si inginocchiò di fronte, incrociando le gambe alle mie, portandomi lentamente la bottiglia alla bocca… il liquido mi scivolò abbondante sulla lingua e sul viso… mi sforzai di mandarne giù quanto più possibile… quel gesto di pietà avrebbe di certo avuto un caro prezzo…
Françoise lasciò cadere il contenitore a terra… Fenice, pensai, Fenice, sforzandomi di ricordare il suo vero nome e non più quello della ragazza che avevo salvato e desiderato. Dovevo dimenticare quel nome per sempre, anche se la donna di fronte a me in quel momento, così vicina ed apparentemente inoffensiva, le somigliava tanto…
“Perché sei qui? Perché non mi uccidi e basta?”
Lei poggiò le mani sulle mie gambe...
“Tu sei stato gentile con me… sto solo cercando di ricambiare il favore...”
“Non voglio la tua pietà...”
“E non ne avrai, sta’ tranquillo…”
Ribatté lei… si tirò su ed afferrò una sedia… per almeno cinque minuti nessuno parlò...
“Quindi era una bugia… ogni tua parola lo era…”
Alla fine fui io a parlare per primo, incapace di resistere alla tentazione di guardarla con sufficienza.
Era un’ovvietà, ma dovetti sforzarmi per non suonare disperatamente deluso nell’ammetterlo ad alta voce… Françoise mi rivolse uno sguardo più attento…
“In realtà non ti ho mai mentito…”
Sollevai il mento… mai come in quella situazione avevo dubitato della mia capacità di leggere le persone…
“…Françoise è il mio nome… e negli ultimi quattro anni ho davvero vissuto un’insulsa vita da cameriera aspettando questo momento, fidanzato traditore incluso…”
Si prese un attimo di pausa…
“…ovviamente sapevo già che si sbatteva un’altra, ma non posso lamentarmi troppo… dopotutto non sono mai stata una fidanzata appassionata...”
Trattenni tra le labbra un commento sarcastico… strano come invece io riuscivo a vedere passione in ogni sua mossa…
“Dimmi come hai fatto…”
La mia richiesta attirò gli occhi di Françoise su di me, lucidi e brillanti come veri lapislazzuli…
“Fatto cosa?”
“Come sapevi che mi sarei trovato su quell’aereo? Come sapevi cosa fare?”
Lei inspirò…
“Tutta la mia vita negli ultimi sei anni, tutto ciò che ho fatto, detto o anche solo pensato, tutto è stato per arrivare fino a qui, ad un solo passo da Jack Shimamura...”
“E’ per questo che Heinrich ti ha assoldata?”
Françoise scosse la testa…
“Lui non mi ha assoldata, mi ha salvata…”
Sollevai un sopracciglio perplesso, nella varietà del lessico umano di certo non avrei mai definito Albert Heinrich un salvatore…
“…negli ultimi sei anni, mentre mi addestravo e vivevo la mia finta esistenza, ho studiato ogni più piccolo aspetto della tua famiglia, seguito le vostre mosse, cercato i vostri punti deboli… ho aspettato pazientemente che arrivasse il momento giusto…”
“Johannesburg...”
Dedussi…
“…non riuscivo a credere che ti fossi fatto fregare dalla polizia, tanto meno che Alexei Smirnov fosse riuscito a farmi un simile favore… il Mamba servito su un piatto d’argento e dietro di lui, inevitabilmente, un fratello dopo l’altro…”
“Non ha senso…”
Scossi la testa…
“…come potevi sapere che ti avrei salvata?”
Qualcosa si accese nelle iridi della ragazza…
“Non lo sapevo… non sapevo nemmeno che ti avrebbero reimbarcato per New York mezz’ora dopo il mio arrivo a Johannesburg… se l’avessi saputo mi sarei di certo risparmiata uno scomodo viaggio…”
Prese fiato…
“…nessuno aveva previsto che Jet avrebbe buttato giù un intero aereo per te… tutto quello che dovevo fare era attirare la tua attenzione… starti dietro… una volta a terra gli altri Fantasmi Neri avrebbero fatto il resto…”
“E come sapevi che avrebbe funzionato?”
Si mosse lentamente raggiungendomi di nuovo… si inginocchiò di fronte a me…
“Perché conosco tutto di te, perfino le tue fantasie più nascoste… e so che tutte o quasi prevedono un piccolo angelo biondo desideroso di sporcarsi le ali...”
Con quegli occhi azzurri gettati nei miei, non riuscii a trattenere un brivido… molto probabilmente quella donna sconosciuta avrebbe potuto cavarmi l’anima e srotolarmela davanti come un libretto d’istruzioni…
“…quello che non potevo immaginare è che ti sarei piaciuta tanto da salvarmi...”
Abbassai lo sguardo, sbuffando nel tentativo di sminuire e deridere quella sua assurda convinzione… riuscivo a sentir chiara la vergogna della mia stupidità, ma non le avrei di certo concesso un balletto di esultanza…
“Il modo in cui mi hai guardata in quel bagno, come se fossi la creatura più fragile ed innocente del pianeta, come se mi desiderassi più di ogni altra cosa al mondo… mi hai fatto desiderare di esserlo davvero…”
Sollevai il viso e me la trovai vicina, di nuovo a pochi centimetri di distanza, candida e delicata come la prima volta che l’avevo vista, con i suoi grandi occhi color oceano sgranati e luccicanti… la sicurezza di pochi minuti prima svanita nel nulla…
Françoise lasciò scorrere i polpastrelli sul taglio ancora aperto sopra il mio zigomo, delicatamente, quasi non volesse provocarmi alcun dolore… trattenni il respiro stringendo le redini della mia psiche… mi stava fregando ancora, giocando con la mia mente come un’abile illusionista… la ragazza che avevo davanti non esisteva davvero, la mia ragazzina dell’aereo non era reale, anche se in quel momento sembrava tornata, nulla di lei era reale, nulla… dovevo convincermi di questo una volta per tutte, prima che la voglia di riaverla riuscisse a sgattaiolare fuori dalle barriere della mia ragione…
Quella donna era un mostro… doveva essere un mostro… una specie di mutaforma in grado di trasformarsi all’occorrenza, ora una spietata assassina, ora un’innocente ragazzina…
Françoise si portò le dita alle labbra…
Mi irrigidii, spiazzato da quel gesto totalmente inaspettato… non potevo farci niente... nonostante fosse il nemico, nonostante desiderassi ora più che mai spezzarle il collo,  se lei lì, in quel preciso momento, mi avesse toccato ancora una volta, non avrei potuto essere certo di saper controllare il mio corpo…
Trattenni a stento la voglia di roteare gli occhi al cielo… vendetta o meno, quella donna sarebbe stata la mia fine…
La cosa più sicura da fare era cambiare argomento… immediatamente…
“Che cosa ti ha fatto mio padre?”
Ogni ombra di seduzione le sparì dal viso nell’arco di un secondo… Françoise si ritirò nel guscio come una lumaca quando gli si toccano le antenne… allontanandosi da me il più possibile inspirò a pieni polmoni…
“Ha ucciso la mia famiglia…”
Rispose fissando un punto indefinito oltre me…
Aggrottai le sopracciglia, non avevo idea di cosa c’entrasse la famiglia di Françoise Arnaul con la mia, ma l’ombra apparsa di colpo sul viso di lei non lasciava adito a dubbi… in qualche modo Jack era responsabile della morte di queste persone e la ragazza viveva solo per un unico scopo, ripagare la morte con la morte… vendetta, il più antico dei moventi dopo la gelosia…
“Io ucciderò la sua…”
Aggiunse contemplando il nulla, pregustando il sapore dell’espiazione e lasciandosi colare in una specie di realtà parallela…
“…e poi ucciderò anche lui…”
“Il rapporto della polizia dice che i tuoi sono morti in un incidente...”
Françoise sorrise a labbra strette…
“È quello che volevo credessi, ma non è andata così… i tirapiedi di tuo padre hanno ucciso i miei genitori a sangue freddo, senza pensarci due volte…”
Strinse i pugni e finalmente mi rivolse lo sguardo…
“Vuoi sapere qual è il ricordo che ho più nitido di quella sera?”
Non osai rispondere…
«Non si sfugge dagli Shimamura…»
Ripeté cercando di trattenere il disgusto…
“…così hanno detto… le ultime parole che mio padre ha sentito prima di morire…”
Rimasi in silenzio, bloccato dall’autenticità di quei pezzi di memoria che lei mi stava offrendo e che non riuscivo a collegare… per amore della mia sopravvivenza avrei dovuto indagare, cercare di capire, individuare il punto debole della sua motivazione eppure, consapevole di essere nulla più di un assassino, non avrei mai potuto mancare di rispetto alla morte… anch’io avevo perso mia madre qualche anno prima, l’unico genitore biologico che avessi ed unica persona al mondo che mai mi avesse amato…
Era stata una stupida emorragia cerebrale a portarla via ed io non avevo potuto far altro che accettarlo… il caso, il destino o Dio, se così lo si vuol chiamare, non sono certo nemici che puoi rincorrere e massacrare… nessuna vendetta per me...
Guardando il vuoto negli occhi di Françoise in quel momento qualcosa si mosse dentro di me... se l’assassino di sua madre avesse avuto un nome ed un volto, anch’io avrei spaccato le montagne pur di avere giustizia…
Cosa avrei potuto mai dire o fare che potesse farle cambiare idea? E perché poi? Jack meritava di morire, per mano di Françoise e di almeno un milione di altre persone…
“Perché vuoi uccidere anche noi?”
Lei sospirò, come se fosse ovvio…
“Morire e basta sarebbe troppo semplice… voglio che prima sappia cosa vuol dire restare soli al mondo…”
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Jet spinse la porta del locale seguito da due dei suoi uomini più fidati, troppo nervoso e preoccupato per notare le guardie di Smirnov che lo seguivano ormai da ore…
Il suo olfatto allenato non mancò di cogliere immediatamente l’odore di sangue stagnante che riempiva la sala… ogni nervo nel suo corpo si tese, ormai era certo che qualcosa fosse andato storto ed il cadavere scomposto del barista, imbrattato delle sue stesse cervella, ne fu la conferma…
Salì le scale due gradini alla volta, la pistola stretta nella mano destra…
Dentro l’appartamento di Joe la puzza di morte divenne quasi insopportabile… un altro cadavere… lo raggiunse di fretta, sollevato alla scoperta che non si trattava di uno dei suoi fratelli… quella faccia sconosciuta portava chiari i lineamenti del suo tormento… russi…
Notando i segni netti di un’arma da taglio se ne sentì sollevato… doveva essere opera di Joe, il che poteva solo dire che suo fratello si era difeso… tirò fuori il telefono dalla tasca della giacca e compose nuovamente lo stesso numero… nessun segnale all’altro capo… idem per il cellulare di Jonah...
Senza trattenere l’esasperazione, si rivolse ai suoi compagni…
“Controllate il palazzo…”
Loro si mossero e lui rimase lì, fermo ed inerme, totalmente perso nelle supposizioni… dove diavolo erano finiti? Era così assorto nei propri pensieri che solamente dopo un secondo si rese conto di non essere solo… la presenza era palpabile, vicina, respirava la sua stessa aria in maniera quasi impercettibile…
Strinse l’impugnatura dell’arma e si voltò di scatto, più che pronto a fare fuoco…
Lei…
Il mondo di Jet smise di girare… il freddo, crudele, intoccabile Jet  riuscì chiaramente a sentire il crack del suo cuore di ghiaccio sotto la camicia di cotone italiano…
Lei era lì…
In carne ed ossa davanti ai suoi occhi…
“Sei anche più bello di quanto ricordassi…”
Il dolce suono della sua voce gli piombò addosso come un treno in corsa… due anni, due interi anni di nottate in bianco, tutte spese a chiedersi dove fosse finita ed eccola lì, comparsa dal nulla come un fantasma, come se non se ne fosse mai andata via davvero… i lunghi capelli, scuri e mossi, le incorniciavano il viso, la pelle chiarissima sempre perfetta ed i suoi grandi occhi marroni che sembravano volerne saltar fuori, contornati dal pesante trucco nero…
Nataljia...
Sua moglie…
“…tu?”
Lei sorrise, riempiendo la stanza di luce e togliendo a Jet ogni forza rimasta… in quel momento non era più uno spietato assassino, tantomeno un soldato addestrato alla peggior guerra… era solo creta, morbida creta nelle mani di una donna…
Gli fu chiaro più che mai… è proprio questo che intendono dire quando descrivono l’amore come la peggiore delle debolezze… 
Nataljia, stretta in un paio di aderentissimi pantaloni neri, si mosse a passi lenti verso di lui, costringendolo ad abbassare pistola e difese senza che nemmeno se ne accorgesse…
“È davvero passato troppo tempo…”
Aggiunse, lasciandogli notare di non aver mai perso il marcato accento sovietico… lui non mosse un muscolo, tramutato in pietra dal tocco delle sue dita sottili sul collo della giacca… poteva sentirla… era reale…
Lei era reale…
“Dov’eri?”
Nataljia sollevò le iridi scure, accarezzando quel viso che credeva d’aver dimenticato…
“Perdonami Jet...”
Sussurrò… lui chiuse gli occhi per un solo istante…
“Per cosa?”
Anche l’altra mano di Nataljia si posò sul suo petto, leggera e morbida contro il lino del vestito…
“Per tutto quanto…”
I loro corpi si sfiorarono… il suo profumo gli riempì le narici… gelsomino... lo stesso di sempre…
“…ma soprattutto…”
Per l’ombra di un secondo sentì il suo respiro sulle labbra…
“…per questo…”
Concluse stringendo la presa attorno al bavero della giacca e facendo forza… il ginocchio destro di Nataljia gli si piantò dritto tra le gambe, togliendogli di colpo la vista… tramortito dal dolore non si accorse nemmeno della sua maestria nel togliergli di mano la pistola…
Un rapido cenno verso la porta ed altri tre, forse più, gli furono addosso… Jet sentì lo scatto consecutivo di almeno tre semiautomatiche… sollevò piano lo sguardo… lei era ancora lì…
“Che stai facendo?”
Teneva la sua pistola tra le dita, ma senza puntargliela contro…
“Ti spiegherò tutto Jet…”
Gli girò intorno a debita distanza…
“…ma prima dovrai venire con me…”
Jet seguì i suoi movimenti, registrando con la coda dell’occhio ogni minimo particolare... quattro uomini armati, di certo non russi… vicini, ma pur sempre troppo lontani... nonostante avesse con sé un’arma di riserva sarebbe stato impossibile raggiungerne anche solo uno senza lasciare agli altri il tempo di sparare…
Ma gli avrebbero sparato sul serio? Nataljia avrebbe davvero lasciato che gli sparassero?
“Dove?”
Domandò dopo l’attenta valutazione di ogni via di fuga…
“Dove i tuoi preziosi fratelli aspettano…”
Spalancò gli occhi… se c’era Smirnov dietro quest’attacco e quello di Johannesburg, e se c’era anche Nataljia in mezzo, avrebbe solo potuto dire che sua moglie era tornata al padre già da un pezzo… perché continuare quella faida allora? Perché Smirnov era in città? Perché sembrava non voler dar loro pace?
C’era un solo modo per scoprirlo… seguirla…
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Il russo vestito di nero, appollaiato sul tetto come una poiana annoiata, strinse gli artigli attorno al binocolo al primo cenno di movimento… più figure di quante ne fossero entrate stavano uscendo dal palazzo…
Ruotando l’obiettivo mise a fuoco la silhouette di Jet… non c’era dubbio che fosse lui… la donna che gli sfilava accanto d’altra parte… consumò il tasto dello zoom cercando di arrivarle il più vicino possibile…
Quei capelli e quel viso, stampati nella sua memoria…
Nataljia Smirnova, la figlia perduta del suo signore, camminava a passi svelti nel centro di New Orleans accanto al suo indegno marito…
Che fosse tornata? Che gli Shimamura la stessero tenendo nascosta?
Spinse immediatamente il tasto della trasmittente…
“Signore?”
All’altro capo il famigerato Alexei Smirnov
“Sono tutti morti?”
“Non ancora signore…”
“Allora perché sprechi il mio tempo Dimjtri?”
“Nataljia signore…”
L’improvviso silenzio dall’altro lato fu il segno del suo completo interesse…
“Perché osi nominare mia figlia?”
L’altro mandò giù calibrando le parole… due sillabe di troppo ed avrebbe pagato lui le conseguenze di quella scoperta…
“È viva… ed è qui signore, a New Orleans… con il figlio di Shimamura...”
Non poteva vederlo ma riuscì perfettamente ad immaginare la collera che riempiva ogni cellula del suo corpo… il solo sentir nominare Jet aveva annullato ogni gioia nel sapere viva la sua unica erede…
“Seguiteli… dovunque vadano…”
Quella non era questione per i suoi scagnozzi… una tale rivelazione meritava il suo intervento in carne, ossa ed esercito completo…
“Dimjtri?”
“Sì signore?”
“Perdili di vista e pagherai con la tua testa…”

 

Parte 10


Jet sospirò silenziosamente, lasciando scivolare la cravatta di seta nel tentativo di ottenere un perfetto nodo Windsor… ad ogni modo non era la sua apparenza a preoccuparlo, bensì il peso di quella responsabilità che lo attanagliava ormai da settimane… sposare una donna per far piacere a suo padre… forse era davvero troppo… non che credesse nell’istituzione matrimoniale, tantomeno nella storia dell’anima gemella, ma l’idea di legarsi a qualcuno solo per siglare un contratto riusciva a renderlo nervoso… Nataljia Smirnova, l’ultima ed unica volta che l’aveva vista avrà avuto non più di dodici anni, uno sguardo di pudore ed ansia sul suo giovane viso, nulla più che le sembianze di una bambina spaventata… altri dodici anni erano passati da quella «vacanza di famiglia» a San Pietroburgo e adesso non aveva idea di cosa aspettarsi, o di cosa dire, o di cosa fare…
“Vuoi farlo davvero?”
Sarà stata la ventesima volta in quella sola ora che Joe ripeteva la domanda, incapace di credere che Jet volesse sposarsi… sposarsi… non riusciva nemmeno a pensare quella parola senza il desiderio di vomitare…
Jet sistemò il colletto evitando di rispondere… Jonah si aggiunse alla conversazione…
“Joe ha ragione… non vediamo questa ragazza da un secolo! Voglio dire, potrebbe essere grassa come una balena o magari calva…”
Jet sollevò un sopracciglio…
“…vuoi davvero andare a letto con una balena calva?”
Il maggiore scosse la testa, ma senza dubbio anche lui ci stava pensando, seppur in altri termini… suo padre aveva buttato giù un contratto, aspettandosi un matrimonio ed ovviamente dei sani nipoti che perpetrassero il nome degli Shimamura… ciò voleva dire che avrebbe dovuto dormire con questa donna qualunque fosse il suo aspetto attuale e, soprattutto, qualsiasi fosse il suo stato d’animo… probabilmente la ragazza era disperata o spaventata e gli sarebbe toccato consumare i suoi doveri coniugali con un corpo freddo ed immobile, solamente per accontentare Jack, come sempre…
“È per la famiglia.”
“È solo per lui!”
Ribatté Joe
“…è solo per i suoi sporchi scopi e lo sai bene…”
Non era nemmeno troppo chiaro perché quell’idea gli bruciasse tanto… suo fratello sposato ad una russa, una russa sconosciuta che avrebbe un giorno ereditato l’intero mercato malavitoso del metano e del petrolio… il matrimonio… inutile negare l’ovvietà, se Jack non avesse sposato sua madre nessuno di loro sarebbe stato lì, eppure l’idea di ripetere i passi dei suoi lo disgustava… silenzi senza fine… discussioni agguerrite… gerarchie intoccabili… fotografie di sorrisi fasulli appese alle pareti… come biasimare sua madre per aver dormito con un altro?
Nataljia avrebbe prima o poi fatto lo stesso, sbattendosi l’autista o il giardiniere alle spalle di suo fratello, finendo per sfornare un altro piccolo bastardo come lui… Jet lo avrebbe odiato, maltrattato, umiliato, trasformandosi lentamente in una nuova copia di Jack... la storia trova sempre il modo di ripetersi…
La porta della stanza si spalancò, riportando tutti alla realtà… Jacob, relegato al ruolo di annunciatore, rivolse loro un cenno del capo…
“Di là ti aspettano…”
Il taciturno primogenito, capelli lisci, naso appuntito e spalle larghe, non aggiunse nulla di più… stare in secondo piano rispetto a Jet aveva dei lati positivi dopo tutto, ad esempio il potersi scegliere una donna da solo… non che Jack fosse minimamente al corrente della sua liaison con la figlia della governante…
Jet annuì… era il momento di compiere l’ennesimo dovere… con un po’ di fortuna Nataljia si sarebbe rivelata una moglie silenziosa e lui avrebbe trovato abbastanza improrogabili impegni da non doverle stare vicino troppo a lungo…
Ignorando Joe e lo scuotere del suo viso, raggiunse a testa alta il grande salotto… il camino era acceso e l’argenteria brillava sulla tovaglia damascata, segno che suo padre voleva far colpo… e che a lui non era concesso sbagliare…
“Ecco qui il fortunato!”
Tuonò Jack raggiungendolo sulla soglia…
“Vieni figliolo…”
Poggiandogli una mano sulla spalla, proprio come un vero padre avrebbe fatto, lo condusse al centro della stanza dove Alexei sorseggiava vodka pura senza ghiaccio… un gentile omaggio portato dalla sua terra… ogni aspetto di quella situazione ricordava fastidiosamente le dinastia monarchiche… il magnate russo sgranò lentamente un sorriso, quasi fosse un gesto innaturale…
“Jet…”
Gli porse la mano, gelida come la neve nonostante il fuoco acceso… il giovane rispose alla stretta con altrettanta energia…
“Sto per affidare a te il mio più prezioso tesoro…”
Jet si limitò ad annuire… il ghigno forzato sul viso pallido del sovietico lasciava intendere tutt’altro avvertimento… gli avrebbe fatto patire amare sofferenze se non avesse garantito l’incolumità e la soddisfazione della sua unica figlia, sangue del suo sangue…
“…vieni figlia mia…”
Dall’angolo della stanza, fuori dal rifugio offerto dalla grande libreria di quercia, si rilevò la tanto attesa promessa sposa… lunghi capelli scuri sulle spalle minute, grandi occhi d’ebano, lunghe ciglia nere ed una piccola bocca a cuore, carnosa e perfetta su quel viso bianco come latte…
Avanzò abbassando appena lo sguardo, le gambe tornite esposte fino al ginocchio, la vita sottile ed i fianchi rotondi, abbracciati dal raso del vestito nero… pareva fosse vestita per un funerale piuttosto che per una festa di fidanzamento, non fosse per i piccoli bottoni in madreperla lasciati aperti sulla scollatura… il seno piccolo e rotondo si lasciava facilmente immaginare…
Nessun dubbio, la piccola Nataljia era cresciuta bene…
Jet deglutì davanti a quella visione… si sarebbe aspettato di tutto, ma mai quel vuoto al cuore…
Nataljia gli improvvisò un inchino di fronte, mostrando il giusto rispetto al futuro suocero…
“Felice di rivedere voi…”
Azzardò, con l’accento di chi, nonostante l’altissima educazione, non parla spesso la sua seconda lingua…
Jet sentì la gola secca e le mani umide, come mai gli era successo prima, nemmeno quella volta che aveva versato cianuro nel bicchiere dell’ambasciatore cinese, proprio nel bel mezzo del gran gala alla Sotheby’s… la pronuncia marcata, il suono quadrato di qualche vocale in più, non toglieva alcun fascino a quella visione celestiale… la sua futura moglie…
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“Spero non sia necessario incatenare anche te…”
Il suono della sua voce non era cambiato, tantomeno l’abitudine di raccogliere continuamente i capelli sulla spalla sinistra… Jet rimase in piedi, braccia tese sui fianchi e spalle al muro, così da poter monitorare tutti i 180 gradi della sua visuale…
Nataljia aveva lo stesso aspetto, lo stesso fuoco negli occhi, le stesse movenze sinuose, tuttavia sembrava una persona del tutto diversa… continuava a tenergli gli occhi addosso, ma ogni singola volta che rischiava di incrociare quelli di lui, il suo sguardo cambiava immediatamente direzione… strano, vista la sicurezza con cui gli si era avvicinata nell’appartamento di suo fratello…
Lui, d’altro canto, non riusciva a proferire parola…
Al di là della porta Joe e Jonah attendevano buone nuove seduti su scomode sedie impagliate, le mani legate dietro la schiena… entrambi segnati in viso dalle percosse subite, si erano intesi alla perfezione con un solo sguardo: nessuna inutile conversazione, nessuna parola di troppo, nessun segno di ribellione o cedimento…
Joe rivolse un nuovo sguardo ai gemelli con la coda dell’occhio… rispetto alla sua prima sistemazione quella sedia sembrava morbida come piume d’oca sotto il suo sedere ed aveva almeno due buone ragioni per sentirsi sollevato: prima che lo trascinassero lì, lasciato finalmente solo, era riuscito a concedersi qualcosa come un’ora di sonno rem… fondamentale… seconda e più importante ragione, Jonah era ancora vivo, tutto intero ed accanto a lui… ora non restava che trovare una falla nel piano dei Ryce e non vi era dubbio che ve ne fosse almeno una, specialmente conoscendo la loro impulsività…
L’atmosfera era troppo rilassata lì dentro… era appoggiato alla parete con tutto il proprio peso, la gomma del suo scarpone destro raschiava l’intonaco cadente… Matt dava loro le spalle, tenendo le mani in tasca mentre sussurrava qualcosa alla sua copia… nessun altro nella stanza, nessuna traccia di Françoise… Joe strinse i denti di riflesso, non era proprio il caso di pensare a lei adesso, soprattutto dopo l’ultima conversazione… con tutto quel desiderio di vendetta e quei meccanismi mentali contorti, la ragazza dell’aereo era ormai una causa persa…
La morte dei suoi genitori tuttavia, raccontata attraverso pezzi di flashback che lui poteva solo immaginare, aveva inevitabilmente risvegliato i nitidi ricordi di un’altra dipartita…
Riusciva ancora a vederlo perfettamente, il volto di sua madre addormentato, il suo corpo steso a terra, stranamente privo della sua compostezza, in mezzo ad una nuvola di pillole per il mal di testa sparse sul tappeto… si era avvicinato lentamente urlando il nome di Jet, per la prima volta in vita sua terrorizzato da qualcosa… le si era inginocchiato accanto allungando piano la mano, invocando più e più volte «mamma» a mezza voce… era ancora calda e morbida… i lunghi capelli ramati stesi sul pavimento, il pallore della morte che pian piano si prendeva le sue labbra… in quel momento infinito aveva urlato anche il nome di suo padre, desiderato perfino la sua presenza purché qualcuno condividesse quel dolore, quel taglio al cuore che non poteva, non riusciva a sopportare…
Dopo l’arrivo del fidato medico di famiglia ed una seduta privata in stanza da letto cui Jack aveva voluto partecipare da solo, il verdetto era stato inoppugnabile… morte naturale per emorragia sub aracnoidea, fatale e del tutto imprevedibile… pur essendo uno Shimamura, un uomo senza amore né sentimenti, quella scena l’avrebbe tormentato per sempre…
La porta si aprì di scatto, spingendo dentro un tizio in completo scuro…
Jet…
I fratelli minori tesero i muscoli contro il legno, Jet era lì presente, senza segni di percosse né catene ai polsi… dietro di lui il ticchettio di tacchi sul pavimento, una donna dai lunghi capelli scuri che avanzava con la sicurezza di una top model, una scarpa firmata dietro l’altra… sollevò appena lo sguardo con la sfida tra le ciglia…
Nataljia Smirnova... ancora più troia di quanto ricordasse, stretta nella sua tenuta da film sadomaso…
Non aveva senso, ma comunque resistette alla tentazione di parlare… con Jet non era necessario… come se non fosse abbastanza si aggiunse alla scena Françoise, sfilandogli davanti con gli occhi al pavimento e le sue belle gambe avvolte nei jeans slavati… i suoi stivali di pelle marrone la portarono fino all’angolo…
“Ecco… vivi e vegeti…”
Nataljia rivolse loro un cenno disinteressato, mantenendo gli occhi su Jet… l’attenzione di quest’ultimo totalmente catalizzata al centro della stanza…
“Liberali…”
Lei si concesse un sorriso sardonico…
“Non così semplice…”
Stavolta Jet si voltò a guardarla, sforzandosi di patire la sua concreta presenza…
“Che cosa vuoi?”
La stanza era affollata, piena di persone nervose che consumavano ossigeno, eppure la scena pareva svolgersi tra due attori solamente…
“Chiama tuo padre…”
“Perché?”
“Fa’ venire qui tuo padre e ti prometto che almeno uno di tuoi preziosi fratelli uscirà da qui sulle sue gambe…”
Il tono ancora caldo ed avvolgente nonostante le minacce… Jet strinse i pugni…
“No…”
Nataljia sollevò il viso, scontrandosi con i suoi occhi per la prima volta, ardente dello stesso risentimento che alimentava il marito…
“Non ti fidi?... io mantengo sempre mie promesse…”
“Non sempre...”
La risposta fu immediata ed inevitabile, sfuggita alle sue labbra con uno spasmo di muscoli addominali… più o meno fasulla che fosse, aveva comunque infranto la più solenne delle promesse… finché morte non ci separi… probabilmente era convinta che con uno come lui la morte non si facesse attendere poi tanto…
Quella piccola provocazione le rimbalzò di fronte, facendo tremare le morbide curve del suo labbro superiore… c’era così tanta rabbia dentro di lei, così tanto risentimento nascosto dall’ostentazione, un bruciore ancora insopportabile… Jet non poteva vederlo, non ne era capace, non si era mai neanche minimamente accorto che fosse lì…
“Chiama Jack.. myж…”
Nataljia era sempre stata la più brava dei due ad individuare i punti deboli… non a caso la scelta di chiamarlo «marito» in un russo suadente, così come era solita fare nell’intimità della loro stanza, quando il riverbero dell’orgasmo abbassava le loro difese, facendoli sembrare la più comune delle coppie…
I suoi fianchi stretti tra le mani, la pelle liscia appena un po’ umida dopo la prolungata frizione tra i loro corpi, i suoi lunghi capelli mossi che gli solleticavano il petto, le ginocchia di lei incollate alla vita, il respiro ancora accelerato e quel sorriso… quel sorriso…
“Moй myж…”
Nataljia lasciò scorrere le dita sul viso di Jet, indugiando con l’indice sulle sue labbra schiuse…
Jet inspirò accarezzando il suo seno con gli occhi ancora una volta, concedendo a sé stesso il più disarmato dei momenti… la donna che suo padre aveva scelto per lui riusciva a svuotargli corpo e mente, riempiendolo di pensieri che non avrebbe mai pensato di avere… la fredda sconosciuta venuta dall’est portava il fuoco dentro…
“Moя Жeha…”
Rispose lui contraendo gli addominali per tirarsi su, gambe intrecciate tra le lenzuola ed occhi allo stesso livello, chiaro contro scuro… Nataljia sorrise di nuovo come ogni volta poiché adorava sentirlo usare la sua lingua natia, perché riusciva a sentirsi a casa… il sorriso sparì presto lasciando spazio all’emozione del momento, insicura, fragile ed inaspettata… gli poggiò le mani sulle spalle, avvicinando lentamente la bocca a quella di lui, prendendola in un bacio lento e delicato…
Poteva succedere davvero? Innamorarsi di qualcuno che non abbiamo scelto? Innamorarsi?
La vibrazione del telefono contro il legno del comodino distrusse il momento… Nataljia abbassò gli occhi spostandosi nella sua parte di letto, Jet allungò il braccio per afferrare il cellulare…
“Padre…”
Una breve attesa silenziosa…
“…va bene… arrivo subito…”
Sempre così, le telefonate di Jack non duravano più di trenta secondi… le sue richieste erano sempre dirette e mai, mai, si era posto il problema di chiedere se Jet avesse qualcosa di più importante da fare…
Non che Jet avesse qualcosa di più importante da fare…
Nataljia tirò su le lenzuola che lui aveva scostato e si coprì fino alle spalle… Jet infilò calzini e pantaloni dandole le spalle…
“Che succede?”
Lui raggiunse l’armadio scegliendo una camicia pulita color panna…
“Non lo so…”
Rispose… ogni mattone del suo muro era già tornato al proprio posto… si infilò la giacca e passò il pettine tra i capelli, rimettendolo nel suo esatto posto sulla mensola di marmo del bagno… girò attorno al letto e le si avvicinò, curvando la schiena per poggiarle un bacio sulla fronte…
“Torno più tardi…”
Non poteva darle indicazione migliore… Nataljia sprofondò nel materasso dopo lo sbattere del portone, trovandosi sola col resto della sua giornata ancora una volta…
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“Chiama Jack.. myж…”
Era riuscita a scurirgli lo sguardo…
“Perché?”
Non gli piaceva ripetere le domande… indicò i suoi fratelli ancora una volta…
“Perché loro sono l’unica cosa di cui ti importa…”
Sollevò il sopracciglio destro…
“…non è vero?”
Jet strinse i pugni trattenendo l’istinto di afferrarla per il collo e sbatterla al muro…
“Fallo venire qui o muoiono subito…”
A quelle parole Big J si scostò dalla parete, brandendo un coltello finora nascosto sotto la maglietta… afferrò Jonah per i capelli e mostrò le sue chiare intenzioni… il minore degli Shimamura non si scompose, mentre Joe gli digrignava i denti accanto…
Quella scena gli spostò un nervo di troppo… Jet espirò rumorosamente e fece per muoversi verso il gemello dai capelli pieni di gel…
“Io ti…”
“Fermo…”
Lo interruppe Matt con indifferenza, abbandonando l’angolo per andargli vicino, ruotandogli intorno fino a raggiungere il fianco di Nataljia... le avvolse la vita con un braccio, un gesto semplice che svelava una certa confidenza…
“…ti consiglio di valutare bene la prossima mossa…”
Concluse avvicinando il viso alla chioma di Nataljia, inspirando il dolce antico profumo di gelsomino… lei non si mosse di un millimetro, tesa per la situazione, ma a suo agio nella presa del nemico… Matt sorrise osservando la reazione di Jet con la coda dell’occhio, godendo della rabbia pura che gli andava dipingendo il viso… non troppo inconsciamente sperava che l’altro cedesse alla tentazione e gli fornisse una buona scusa per scatenare la rissa… il suo amore per il sangue non aveva limiti, non gli sarebbe dispiaciuto mandare tutto a monte per lo scrocchio di ossa rotte sotto le sue nocche anzi, avrebbe volentieri organizzato una parata per sbattere in faccia a Jet ciò che gli aveva preso… quel presuntuoso...
“Porta qui quel coglione di tuo padre…”
Jet non aveva occhi che per lei mentre lentamente tirava fuori il cellulare dalla tasca… tutta quella vicinanza tra Ryce e Nataljia gli aveva portato alla mente un’immagine insolita, uno strisciante crotalo adamantino… cosa non avrebbe dato per avere una dose del suo veleno da sputare in faccia a Matt, cosa non avrebbe dato in quel momento per guardare la sua faccia perfetta decomporsi tra atroci dolori, lasciandolo dissanguare senza pietà…
“Padre, ho bisogno di te qui… vecchio deposito di Lennon... capannone 21...”
Era fatta… con la speranza che Jack portasse con sé un intero esercito…
Matt sorrise di nuovo…
“Padre…”
Ripeté accentuandone il suono per schernirlo…
“Dev’essere alquanto castrante dover ancora sottostare alle regole del vecchio…”
Di nuovo passò le sue sporche mani tra i capelli della russa, attorcigliando una ciocca attorno al dito e premendo il suo corpo contro il fianco di Nataljia…
“…non mi sorprende che tua moglie abbia cercato qualcosa di meglio…”
Colpo basso… Joe assisteva alla scena dalla sua postazione, sperando che suo fratello non abboccasse all’amo… per quella troia non valeva davvero la pena… Jack non si sarebbe mai presentato da solo e le corde attorno ai suoi polsi iniziavano già ad allentarsi per il lento movimento continuo… sarebbe arrivato anche a slogarseli se fosse servito ad uscire vivo da lì… non poteva certo dare la soddisfazione della sua morte a questi vermi… i  suoi occhi si spostarono su Françoise, unica anima nella stanza che non aveva ancora aperto bocca… era visibilmente nervosa, rigida come un palo contro la parete… poteva vederlo anche da lì, bramava quel finale, bramava l’arrivo di Jack più di ogni altra cosa al mondo, del resto di loro non le importava assolutamente nulla…
Il Mamba si prese un attimo per riflettere, arrivando alla conclusione che quel misero piano faceva acqua da tutte le parti… per quanto i gemelli fossero stupidi, non potevano aspettarsi davvero che Jack si presentasse da solo ad un invito inaspettato, benché fosse venuto dal suo figlio preferito… quattro contro quattro, un incontro alla pari, solo che… si guardò di nuovo attorno… Matt e Big J non avevano remore né scrupoli, probabilmente erano pronti a scagliarsi in mezzo a qualsiasi mischia... Françoise era una bomba ad orologeria arrivata all’ultimo minuto di conto alla rovescia, un elemento del tutto inaffidabile… Nataljia d’altro canto… non che avesse una qual si voglia ammirazione per le abilità della cognata, ma senz’altro l’effetto sorpresa poteva rivelarsi a loro vantaggio, lasciando il tempo ad uno degli altri tre di sparare un colpo in più…
Ma dov’era Heinrich in tutto questo? Non era forse sua l’idea di base di far fuori Jack e prole? Possibile che lasciasse organizzare ai suoi soldati un piano tanto scadente? A meno che… gli balenò nel cervello l’idea che anche Albert Heinrich fosse lì, attorniato dai migliori cecchini, comodamente seduto da qualche parte ad aspettare l’istante perfetto per la sua entrata in scena… ecco, quello sì sarebbe stato un buon piano… Jack poteva aspettarsi parecchie grane, ma non avrebbe mai pensato che fossero i Fantasmi Neri a pestargli i piedi…
Doveva muovere le mani in fretta, dislocando il pollice dalla sua sede naturale per liberarsi il più velocemente possibile… il tutto senza fare alcun rumore, restando ai margini della scena come fino a quel momento…
“Brucia vero?”
Matt non mostrava intenzione d’interrompere la sua tortura, suonando i nervi di Jet in un ritmo veloce e sguaiato, fatto di sorrisetti ammiccanti e strusciatine alla sua donna… Nataljia restava immobile, forte di una ritrovata sicurezza… era anche la sua vendetta dopo tutto…
“Sarà questa l’ultima scena che ricorderai…”
Aggiunse, passando volgarmente la lingua sulla guancia della donna, lasciandogli esclusivamente immaginare quante altre confidenze si fosse preso con la sua consorte… Jet raggiunse il limite, pur essendo un eccellente freddo calcolatore, il suo orgoglio ribolliva nero e pastoso come catrame… era pronto a scagliare ogni sua arma, pronto a massacrare quell’essere ripugnante… strinse i pugni e si piegò su se stesso in un rapido movimento fluido… dietro di lui la canna di una pistola si tese tra le sue scapole, tenuta dritta e ferma tra le mani della giovane Fenice, l’insignificante biondina che suo fratello aveva ripescato nell’oceano e che lui avrebbe dovuto uccidere immediatamente… c’era da ammetterlo, tra tante capacità e specialità cui erano stati addestrati, proprio nessuno aveva speso una parola con loro sul come comportarsi con le donne… che venisse da lì il pessimo gusto nello sceglierle?
Joe piantò gli occhi sulla scena… non c’era certo da affidarsi all’autocontrollo di Françoise, totalmente sul punto di esplodere non avrebbe pensato due volte prima di far secco Jet...
“No!”
Le urlò, bloccando il suo dito sottile sul grilletto… Françoise sussultò appena, spostando la mira dal maggiore verso il Mamba… tutta la stanza sembrò tremare, satura di tensione ed eccitazione… qualcosa doveva succedere lì dentro…
Françoise inspirò profondamente sollevando appena le ciglia… i suoi grandi occhi azzurro cielo sembravano quasi riuscire ad attraversarlo da parte a parte… aveva condiviso qualcosa con quell’uomo che tanto odiava, singoli momenti in cui aveva concesso a piccoli frammenti di sé di venire a galla… ora le sembrava quasi di riuscire a sentire qualcosa, qualcosa di simile ad un’emozione vera, una sensazione che non avrebbe potuto decifrare… Joe Shimamura era l’unica persona a cui avesse raccontato la sua storia… Aveva sempre pensato che il mondo sarebbe crollato se avesse confessato a qualcuno di aver sofferto, di sentire la mancanza dei suoi genitori come una bimba spaurita ed indifesa… eppure il mondo girava ancora, incasinato come sempre…
Una cosa doveva comunque riconoscergliela, aveva avuto abbastanza umanità e rispetto da non riderle in faccia… non le aveva risposto neanche, nonostante il prezzo da pagare fosse la sua stessa vita… sorprendente…
Françoise sistemò il peso del proprio corpo sulle assi del pavimento allargando leggermente le gambe e decise che avrebbe sparato… adesso, lì, senza aspettare Jack, senza ripensamenti… non poteva sopportare un secondo in più di quell’umano sentire, non poteva tollerare l’idea che il suo subconscio stava suggerendo… non l’avrebbe lasciato vivere… no… riusciva a renderla debole… non l’avrebbe lasciato vivere…
Trattenne il respiro e strinse la pistola…
Joe deglutì… stava succedendo tutto in un secondo, ma sembrava scorrere come un film al rallentatore… la sua mano destra stava lentamente scivolando fuori dal triplo nodo, ma le era comunque troppo lontano, non l’avrebbe mai raggiunta in tempo…
La ragazzina dell’aereo si era rivelata la peggior scelta della sua vita… l’unica buona azione della sua esistenza che gli si ritorceva contro… che ironia… tutto per aver ascoltato uno stomaco ed un cuore che credeva ormai morti da tempo, fino all’attimo in cui Françoise Arnaul gli aveva attraversato la vista…
Gli venne da sorridere ed abbassò lo sguardo…
Solo allora riuscì a notarlo… il minuscolo puntino rosso luminoso che tremava appena addosso a Françoise, più o meno all’altezza del suo fegato… un mirino laser…
Calcolò in una frazione di secondo l’angolazione e la distanza… veniva da dietro di lui, dal piccolo lucernaio che lasciava filtrare una lacrima di sole… qualcuno li stava osservando, qualcuno la teneva sotto tiro…
Possibile che Jack fosse stato tanto rapido e previdente?
Françoise si accorse del repentino cambio d’espressione ed allentò ancora una volta la presa sul grilletto, seguendo con gli occhi lo sguardo di Joe rivolto al suo ventre…
Puntino rosso… immediatamente puntò le pupille al lucernaio, facendo gli stessi calcoli di Joe in una frazione di secondo…
“Ma che…”
Non finì nemmeno la frase… i suoi muscoli scattarono d’istinto e saltò in avanti, finendo dritta contro la sedia di Joe, facendolo cadere e liberandolo dell’ultimo pezzo di corda senza nemmeno accorgersene…
Il proiettile diretto al suo fegato esplose in un mezzo boato e si conficcò nel muro, scatenando in un secondo la più inaspettata confusione… Jack? Heinrich? Un’altra trappola?
Qualcosa si scagliò contro la porta chiusa della stanza, mettendo in seria difficoltà il legno della sua struttura… un tonfo e un altro ancora, accompagnato dallo scricchiolio del rovere… le facce di Matt e Big J  confermarono la loro estraneità alla situazione e Jet non attese un secondo in più prima di approfittarne… doveva trattarsi di Jack, solo lui avrebbe potuto seguirli fin lì…    
Concluse il movimento iniziato poco prima e dall’interno del calzino sinistro tirò fuori una specie di capsula metallica… premuto solo un tasto la lanciò a terra e l’aggeggio iniziò immediatamente a sputare denso fumo grigiastro dall’odore pungente… ne aveva sempre un paio con sé, nascoste nei posti più impensati, pronto a lasciarle esplodere per sparire dalle situazioni scomode come un vecchio mago o il ninja di un film di serie B…
A lui quell’odore non dava alcun fastidio, lasciandogli fiato e vista più a lungo che ai Fantasmi Neri... si scagliò contro Matt mollandogli un pugno sul naso ben assestato, mentre con l’altra mano afferrava l’avambraccio di Nataljia in una stretta presa…
Joe riuscì finalmente a tirarsi su, la mano sinistra era ancora intrecciata alla corda, ma poteva bastargliene una per rubare il coltello di mano a Big J e concludere l’opera silenziosamente iniziata da Jonah… anche l’altro fratello balzò in piedi, bloccato nelle sue intenzioni dallo spalancarsi della porta… tre tizi incappucciati di nero si gettarono nella stanza coi fucili puntati, accolti dalla nuvola di grigio…
Non è così che vestono i soldati di Jack...
La rissa fu inevitabile, seppur scatenata nella semi cecità… Jet voleva solo uscire dì lì il prima possibile, ma uno degli sconosciuti gli bloccava l’uscita e probabilmente una sola mano era davvero troppo poco per fermare un kalashnikov… poco male, non avrebbe mollato Nataljia per nessuna possibile ragione al mondo, nonostante lei continuasse a graffiargli il polso nel tentativo di liberarsi…
Jonah mise definitivamente a terra Big J, correndo in aiuto del fratello maggiore preso a disarmare un altro degli imbucati… quest’ultimo respinse Joe con un calcio, allontanandolo abbastanza da potergli puntare il fucile in fronte… ci fu un solo secondo di panico, uno appena prima che Françoise sparasse il colpo decisivo con la sua pistola, dritto nella tempia dello sconosciuto…
Joe rimase di sasso… sbaglio o la ragazza dell’aereo gli aveva appena salvato la vita?
Françoise puntò l’arma verso l’uscita… le bruciavano gli occhi e non vedeva molto più che sagome in movimento, tuttavia doveva fuggire in fretta e quella era la sola via di fuga possibile… se avesse preso Jet tanto meglio… se fosse stata Nataljia beh, comunque non erano mai state troppo amiche…
Sparò tre colpi, uno dietro l’altro, guardando cadere la sagoma scomposta del suo ostacolo… la porta fu libera e tutti, senza distinzione di sesso o fazione, si precipitarono fuori dalla nuvola… qualcuno riuscì a passare subito, qualcuno forse no…
Jet sbatté contro un corpo duro e gelido appena fuori dalla soglia del capannone 21… Nataljia smise di tirare verso la parte opposta…
Pochi secondi per riabituare gli occhi alla luce e gli fu di colpo chiaro chi fossero quelle persone… quel maledetto viso spigoloso…
Dietro le spalle di Jet, Nataljia allentò la presa sulla mano che la teneva prigioniera, il suo tocco non più ostile, ma deciso, come se gli si stesse aggrappando per sfuggire da un nuovo pericolo, ben più temibile di un matrimonio fallito…
Fu proprio lei a parlare per prima..
“Oteц…”
Sussurrò tra i denti...
Oteц, parola russa che sta per «Padre»…

 

 

© 08/07/ 2021

 



 
 


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